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Decreto per riportare in carcere mafiosi e boss: il killer ergastolano La Rocca nell'elenco

Per il vecchio killer, tornato a casa in Sicilia via terra da Milano, i domiciliari dovrebbero finire

Si sta cercando di correggere il tiro e i super boss scarcerati per l'emergenza coronavirus dovrebbero tornare presto in carcere o in strutture sanitarie penitenziarie. Lontano dalle proprie abitazioni dov'erano stati rimandati a scontare gli arresti domiciliari, nonostante alcuni di loro avessero sulle spalle ergastoli per plurimi omicidi come Francesco La Rocca.

Sulla base del nuovo decreto voluto dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, il dipartimeno dell'amministrazione penitenziaria sta cercando una soluzione per azzerare la famosa lista dei 376 mafiosi scarcerati nell'ultimo periodo. L'idea è quella di trovare un piano per garantire il diritto alla salute dei detenuti ma anche la certezza che continuino a scontare la loro pena 'dura'.

Tra i boss in attesa che la marcia indietro del ministero della Giustizia prenda corpo ci sarebbe Francesco La Rocca, 'U zu Cicciu', scarcerato dalla prigione di Opera (Mi). Il boss di Cosa Nostra che, da pastore qual era nella sua San Michele di Ganzaria, divenne il capo fondatore del clan della Cosca di Caltagirone negli anni '70. 

Boss e omicida 'libero' grazie al Covid-19

Tra estorsioni e omicidi (spesso strangolando le vittime, prima di prendere a calci i loro cadaveri), la sua famiglia fece il bello e il cattivo tempo nel territorio Calatino, in provincia di Catania, fino all'operazione Dionisio, che portò al suo arresto nel luglio 2005 e alla sua condanna definitiva con fine pena 'mai'. Tre ergastoli per omicidio plurimo, associazione di tipo mafioso (416 bis), estorsioni e porto d'arma. È solo da allora che la storia di 'U zu Cicciu' si incrocia con quella di Milano. Quando finisce ad Opera, per scontare la sua pena nel carcere duro in regime di 41 bis.

Mafiosi al 41 bis scarcerati per coronavirus

Una relazione, quella tra il territorio di Milano e La Rocca, amico di Totò Riina e Bernardo Provenzano, interrotta nel mese di aprile per via del coronavirus. O meglio delle misure messe in atto per evitare che le carceri diventino focolai e garantire ai detenuti il diritto alla salute. Il boss del Calatino, che oggi ha 82 anni, era rientrato nell'elenco dei detenuti anziani e in stato di salute precario sui quali l'autorità giudiziaria aveva carta bianca circa l'opportunità o meno di scarcerarli, optando per un più comodo regime di detenzione domiciliare. E così, come per gli altri 375 nomi dell'elenco, era avvenuto per il padrino dell'entroterra catanese, come confermato dal provvedimento firmato dal magistrato di sorveglianza Gaetano La Rocca.

L'Ufficio di sorveglianza del Tribunale di Milano - il cui lavoro è stato molto rallentato dopo l'incendio che a inizio marzo distrusse il settimo piano del Palazzo di Giustizia meneghino - aveva concesso la sospensione provvisoria della pena in regime carcerario, ritenendo sufficiente l'istanza presentata dal legale Alessandro Angelino, del Foro di Caltagirone. Questo perché le condizioni di salute del boss ergastolano - stando a quanto riportato nell'istanza visionata da MilanoToday - erano degenerate al punto che La Rocca avrebbe difficoltà anche a deambulare, se non con il supporto meccanico di una stampella o di una sedia a rotelle. 

Con tre ricoveri ospedalieri nel 2019, e due importanti ricadute nei primi due mesi del 2020, il detenuto, anche secondo il magistrato, era "a rischio in relazione al fattore età, alle pluripatologie... rischio che ovviamente oggi risulta seriamente aggravato dalla concomitanza del pericolo di contagio da covid-19".

Ciccio La Rocca ottiene i domiciliari per il coronavirus 

Era tornato a casa in Sicilia con l'auto guidata dal figlio Gioachino, l'unico autorizzato dal giudice a riportare via terra il padre da Milano fino a casa. Ora per il vecchio killer potrebbe presto finire la detenzione domiciliare in quel di San Michele di Ganzaria. Quel piccolo comune che era un po' come il suo regno. E quella stessa abitazione in piazza dove, durante ogni processione con la statua del Cristo morto, i suoi fedeli facevano una fermata per omaggiare la famiglia del boss. Famoso anche per aver ucciso il figlio di Giuseppe Di Bella, altro uomo di Cosa Nostra, su richiesta del proprio Di Bella che non gradiva l'orientamento politico di sinistra del suo erede. 

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