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Milano e la voglia di ricominciare. Ma quanto sono distanti gli abbracci

Editoriale - Il racconto della seconda domenica in piena emergenza sanitaria. C'è voglia di normalità, ma la ferita rimarrà profonda

Milano, seconda domenica dell'era coronavirus. Alle nove di mattina la città inizia a svegliarsi e pare una domenica qualunque, dal numero di auto che girano. Peccato che sia lo stesso traffico degli ultimi giorni feriali. Un risultato c'è stato: polveri sottili annientate, e non perché si è smesso di fumare all'aperto. Alle nove e mezza il centro commerciale inizia a brulicare.

Un avviso spiega che, nel weekend, rimarranno aperti solo il supermercato, i bar, la farmacia e i ristoranti come da ordinanza (che va verso la proroga). Di gente ce n'è parecchia, come due domeniche fa, prima dell'era Coronavirus. La farmacia perennemente senza disinfettanti, introvabili nonostante l'aumento di produzione, e il super con gli scaffali riforniti, lavorano a pieno ritmo.

Come McDonald's e gli altri bar. Fa strano vedere la lavanderia chiusa, una certezza per tutto il quartiere. I tavolini al centro del corridoio sono affollati di cappucci, cornetti e persone a quest'ora dai quaranta in su. Dormono ancora i ragazzi che hanno tirato tardi: per loro i locali sono già riaperti, a patto di fare servizio al tavolo. Escamotage a cui pressoché tutti i bar della città si sono adeguati pur di lavorare. La gente di Milano vuole fare colazione fuori, vuole riscoprire il piacere di mettere il naso in strada e nelle piazze, con un pensiero alla zona rossa isolata come in guerra.

D'altronde gli esperti in regione la descrivono proprio così, come una guerra da combattere. Uno di loro, infettivologo al Sacco, ha anche detto che si dovrebbero estendere le misure di emergenza all'area metropolitana di Milano. Escluso che sia perché non ama i "giargiana", c'è argomento per andare nel panico: altro che i giornali, sono i medici a dirlo. Ma niente panico al centro commerciale, in apparenza. Sul vialone accanto passa un autobus che porta gli anziani al cimitero maggiore: mezzo pieno, data l'ora. Il ricordo dei cari estinti è più forte della paura dell'era coronavirus, ed è rassicurante che non vengano persi i riferimenti più importanti, più veri e profondi.

Restano invece chiusi i teatri. Pochi lo sanno ma significa mancato compenso per gli artisti (che non sono tutti star milionarie) e per quelli che lavorano a chiamata: tecnici, maschere e via dicendo.

E potrebbe significare stagione finita: perché anche se l'ordinanza sarà annullata tra una settimana, bisognerà vedere se la gente ci tornerà, a teatro, o se in questo caso vincerà la paura. "Forza Milano" potrebbe essere tradotta anche così: riempite di cornetti al bar le vostre pance, ma tornate anche a teatro, appena potrete, per pensare, dissacrare o evadere, come preferite voi. Un'amica, giorni fa, mi diceva: «Quanta voglia ritroveranno, le persone, quando potranno farlo di nuovo, di abbracciarsi?». In piena era Coronavirus l'attesa avvicina gli animi mentre le braccia e le guance restano momentaneamente distanti.

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