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Covid-19, Ats Milano: a marzo e aprile quadruplicati morti in Rsa rispetto alla media

I dati del primo studio italiano sulle residenze socio-assistenziali durante l'epidemia da Coronavirus, compiuto dall'Ats di Milano Metropolitana (compresa la provincia di Lodi)

Più di un ospite su cinque delle Rsa di Milano e Lodi (il 22%) ha perso la vita durante l'epidemia di Covid-19. E' solo una delle possibili "fotografie" del dramma vissuto in Lombardia in questi mesi. Un dramma ancora da comprendere fino in fondo nei suoi dettagli e risvolti, ancora da conoscere appieno. L'Ats Città Metropolitana di Milano, nel cui territorio vi è anche la provincia di Lodi, ha ora effettuato una ricerca sulle morti nelle Rsa raffrontate alla popolazione, perché le residenze socio-assistenziali sono state, e sono tuttora, al centro dell'attenzione.

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Partendo dalle conclusioni, la ricerca di Ats evidenzia che l'elevata mortalità nelle Rsa durante l'epidemia ha avuto, come «principale fattore determinante», la «fragilità degli ospiti residenti» più che le «caratteristiche strutturali delle residenze e degli ospedali», anche se (ammette l'Ats) «altri fattori determinanti hanno avuto un ruolo rendendo ragione della variabilità che si riscontra tra una struttura e l'altra».

Tradotto in parole più semplici, a provocare l'alto numero di morti nelle Rsa è stata soprattutto la particolare (e precaria) condizione di salute degli ospiti di queste strutture. Capovolgendo i dati, risulta che quasi la metà dei morti sopra i settant'anni tra il Milanese e il Lodigiano era ospite delle Rsa. In cifre, nei primi quattro mesi (gennaio-aprile), tra il Milanese e il Lodigiano sono morte 5.500 persone in più rispetto alla media dei quattro anni precedenti, e il 46% di costoro era ospite di una Rsa.

Marzo-aprile: morti in Rsa quadruplicati

Tuttavia le "curve" di mortalità mostrate da Ats evidenziano che tra gli over 70 in generale vi sia stata una netta crescita della mortalità, soprattutto nei mesi di marzo e aprile (nelle Rsa i morti sono stati quattro volte tanto rispetto agli anni scorsi), mentre a gennaio e febbraio i decessi erano stati inferiori alla media degli anni precedenti, vuoi per un'influenza stagionale non particolarmente mortale, vuoi per il clima più caldo. I vertici di Ats ipotizzano che alcuni dei morti in marzo e aprile, in altre circostanze (ad esempio con un'influenza stagionale molto più "cattiva") sarebbero deceduti prima dell'epidemia Covid. 

E non è nemmeno possibile quantificare con precisione quanto c'è di Covid-19 nell'aumento dei morti: come si sa, di tamponi ne sono stati fatti troppo pochi per poter avere certezze in tal senso. E' certo che in tutta la Lombardia siano decine di migliaia le persone "sospette Covid" decedute in questi mesi, durante l'epidemia, senza un tampone: si tratta di persone che quindi non possono entrare nella statistica dei morti per Covid, ma su cui c'è il forte sospetto che siano entrate in contatto (mortalmente) con il virus. In tal senso spicca un dato drammatico fornito da Ats, relativo però soltanto agli ospiti delle Rsa: se è accertato che il 26% dei decessi nelle Rsa era positivo al Covid, parlando di "sospetti" la percentuale sale a un drammatico 59%.

morti covid rsa - ats milano-2

Pochi tamponi (e tardi)

Perché questo scostamento? Perché i tamponi nelle Rsa "a tappeto" (o quasi) sono iniziati relativamente tardi, verso aprile. Non è un caso che i morti che entrano nella statistica dei positivi al Covid abbiano una impennata a marzo per la popolazione generale e ad aprile per gli ospiti nelle Rsa: prima di aprile, semplicemente, di tamponi nelle Rsa se ne facevano pochissimi. Lo scostamento c'è anche presso la popolazione generale: il limite della quantità di tamponi disponibili è ormai noto. Al massimo la Lombardia è riuscita a farne 20 mila al giorno, ma non a marzo. Sappiamo (dai dati anagrafici dei Comuni) che in alcuni territori i morti sono stati anche dieci volte tanto rispetto agli anni scorsi, ma non sapremo mai quanti di essi vanno attribuiti realmente al Covid, eccetto quelli risultati positivi dopo un tampone.

Tuttavia i vertici di Ats ritengono che la carenza di tamponi non sia determinante per analizzare la situazione nelle Rsa nei mesi scorsi. Come dicevamo, il picco di morti nelle strutture viene attribuitoo soprattutto alla particolare fragilità di salute degli ospiti e, in minor parte, ad altri fattori come la carenza di dispositivi di protezione (soprattutto all'inizio dell'epidemia) e al personale che (andando e venendo) avrebbe facilitato i contagi. 

"Assolta" la delibera dell'8 marzo

L'Ats "assolve" invece la nota delibera regionale dell'8 marzo, che ha aperto le porte delle case di riposo ai malati di Covid. Secondo i vertici di Ats, quel provvedimento ha portato relativamente pochi Covid-positivi nelle Rsa e, comunque, li ha portati dove c'erano già ospiti Covid-positivi. In altre parole, il Covid era già entrato in quelle strutture. 

Non c'è molto spazio per parlare di errori. Fin da subito, Walter Bergamaschi (direttore generale dell'Ats metropolitana) chiarisce che il ruolo e il compito di Ats non è di compiere «processi» come invece ce ne sono stati a livello mediatico, ma analizzare i dati e comprendere i fenomeni. Il massimo dirigente sanitario ammette che, a febbraio, tutti erano impreparati ad affrontare la situazione, ma ora è il momento di iniziare a studiare quello che è avvenuto proprio per sapere che cosa c'è da fare, di giusto, se l'epidemia dovesse esplodere di nuovo. Cosa che, in questo momento, non sembra stia accadendo, nonostante la fine del lockdown, forse perché non ci sono "focolai" molto concentrati.

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