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Covid, 110 polmoniti sospette a Bergamo da novembre a gennaio: perché nessuno se n'è accorto?

I magistrati bergamaschi cercano di capire che cosa sia venuto a mancare nel sistema informativo che, dal territorio, porta a Regione e Ministero

E' scoppiato il caso delle polmoniti anomale in zona Val Seriana a partire dal mese di novembre 2019: centodieci casi censiti all'ospedale di Alzano Lombardo in tre mesi, su cui ora indaga la procura di Bergamo (pm Maria Teresa Rota) per capire quali siano state, e se ci siano state, specifiche responsabilità o omissioni prima che scoppiasse l'epidemia "ufficiale" da coronavirus in Italia. 

Il pronto soccorso dell'ospedale di Alzano venne chiuso domenica 23 febbraio, dopo la scoperta di due casi di covid, ma poi riaperto in fretta e furia, contrariamente al pronto soccorso di Codogno, e in Val Seriana non fu istituita alcuna zona ossa, mentre nel Lodigiano sì. I "filoni" da chiarire da parte della magistratura sono all'incirca questi. Ma ora se ne aggiunge un altro, quello delle polmoniti sospette: 18 a novembre, 40 a dicembre, 52 a gennaio.

Allarme mancato

E' probabile che il coronavirus circolasse in Lombardia già prima dell'ufficialità, e del resto tracce del virus sono state riscontrate analizzando le acque di scarico risalenti al mese di dicembre del 2019. La domanda che circola con insistenza, a questo punto, è come sia possibile che nessuno abbia "dato l'allarme", considerando che anche le farmacie del territorio bergamasco hanno eviidenziato una "uscita anomala" di farmaci antivirali proprio in quel periodo. 

La polemica politica

Insomma: sembra che il territorio bergamasco fosse particolarmente interessato da un numero elevato e insolito di polmoniti anomale, e sembra però che ci sia stato un "cortocircuito" informativo tra ospedale, Ats, Regione Lombardia. «Da parte della Regione sembra esserci stata una grave sottovalutazione di un fatto che avrebbe dovuto allarmare e fare scattare almeno una indagne», commentano Fabio pizzul e Gian Antonio Girelli del Partito democratico. Pronta la replica di Roberto Anelli, leghista: «I dati delle Ats vengono regolarmente trasmessi anche al Ministero della Sanità. Mi sembra invece doveroso puntualizzare che l'anestesista di Codogno che ha individuato per prima il coronavirus l'ha fatto contravvenendo alle prescrizioni del loro Governo».

Le circolari del Ministero

I magistrati bergamaschi hanno anche acquisito le circolari ministeriali con i criteri per procedere con il tampone. Il 22 gennaio si raccomandava di considerare caso sospetto anche «una persona che manifesta un decorso clinico insolito o inaspettato, soprattutto un deterioramento improvviso nonostante un trattamento adeguato senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio, anche se è stata identificata un’altra eziologia che spiega pienamente la situazione clinica».

Ma il 27 gennaio oltre ai sintomi sospetti si indicava di considerare che il paziente avesse «una storia di viaggi nella città di Wuhan (e nella provincia di Hubei), Cina, nei 14 giorni precedenti l’insorgenza della sintomatologia», oppure «aver visitato o lavorato in un mercato di animali vivi a Wuhan e/o nella provincia di Hubei, Cina». E' proprio contravvenendo a quest'ultima prescrizione che l'anestesista di Codogno ha individuato il paziente "uno".

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