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Coronavirus

Studio Humanitas su 4mila dipendenti: il 15% ha anticorpi Covid-19 (ma il 43% a Bergamo)

L'indagine completa verrà pubblicata presto. Ma è solo la prima fase: i test verranno ripetuti fino a maggio 2021

Il 15% dei 4 mila professionisti dell'Humanitas è venuto a contatto con il Coronavirus. E' quanto emerge dallo studio epidemiologico condotto dal gruppo ospedaliero sui suoi professionisti nelle strutture lombarde, basato su test sierologici e, in caso di IgG positive, sul tampone. Ad essere stati coinvolti sono medici, infermieri, operatori socio sanitari, tecnici ma anche personale di staff.

"Lo studio - spiega Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas - mira a contribuire allo sviluppo delle conoscenze sulla risposta anticorpale e sulla correlazione tra questa e la protezione dal virus. Un lavoro che si distingue per dimensioni e perché dedicato a una popolazione specifica come quella ospedaliera. Ne emerge che l’ospedale, se ben protetto, può essere un luogo sicuro per i pazienti e per chi ci lavora. I dati evidenziano inoltre come la diffusione del virus tra il personale delle diverse strutture sia in linea con la situazione del territorio di appartenenza”.

La comunità scientifica potrà già da subito disporre dei dati in modalità open access, in attesa della pubblicazione su una rivista scientifica. Lo studio, su base volontaria, ha comportato anzitutto un prelievo di sangue per la ricerca degli anticorpi IgG, quelli più "antichi", che se esistono evidenziano una esposizione al Covid-19 di qualche settimana precedente. In caso di positività, è stato effettuato un tampone faringeo per la ricerca del virus in quel momento. La prima fase dello studio si conclude a maggio. Ma tutto verrà ripetuto altre tre volte: ad agosto e novembre 2020, ed infine a maggio 2021.

Più esposte le strutture nelle zone più colpite

Le percentuali di esposizione al virus variano molto da struttura a struttura. Si va dal 3% di Humanitas Medical Care di Varese (una delle province lombarde meno colpite dal Covid-19) al 43% di Humanitas Bergamo, dove il Gavezzeni è stato trasformato fin dall'inizio dell'emergenza in ospedale Covid con 250 posti letto dedicati. Lo studio è stato condotto anche all'Humanitas di Rozzano (300 posti letto per i pazienti Covid) e Mater Domini di Castellanza (75 posti letto), e insieme al Gavezzeni sono state le più esposte al virus; e poi al San Pio X di Milano e nei Medical Care di Milano e Varese.

Poca differenza tra chi lavora da casa e chi in ospedale

"Dallo studio - prosegue la professoressa Rescigno - emerge che la percentuale di positività identica fra operatori sanitari (medici e infermieri) che sono stati in prima linea contro il virus e personale di staff, che per lo più ha lavorato da casa in smart working, fa pensare che la diffusione del virus sia avvenuta per lo più al di fuori degli ospedali. Un dato rinforzato dall’alta percentuale di professionisti (32%) che sono stati a contatto diretto con familiari affetti da Covid-19". 

Il maggior numero di positivi si registri fra le donne (14% rispetto all’11% degli uomini), mentre l’esposizione al virus varia in base all’età, decrescendo nel sesso femminile con l’aumentare deli anni. Gli uomini registrano invece un picco di positività tra i 40 e 50 anni. Fra le persone positive alle IgG, la percentuale di asintomatici è il 10%, superiore (20%) quella di chi ha avuto uno o due sintomi (paucisintomatici) per lo più perdita di olfatto e/o gusto e febbre.

Nessuna "patente immunitaria" garantita

"Il progetto - aggiunge Alberto Mantovani - rappresenta un contributo originale alla ricerca per la lotta contro Covid-19. Non ha l’obiettivo di fornire la cosiddetta patente immunitaria perché allo stato attuale delle conoscenze nessuno può assicurare che una persona non si ammalerà, o riammalerà, di Covid-19 sulla base della presenza di anticorpi". Resta quindi fondamentale, anche per chi ha partecipato allo studio, attenersi ai comportamenti responsabili suggeriti dalle Autorità Sanitarie regionali, come mantenere la distanza sociale e indossare la mascherina.

"L’importanza dello studio - conclude il professor Mantovani - è legata al fatto che permetterà, grazie alle fasi successive, di chiarire la relazione esistente fra i diversi livelli di anticorpi e la resistenza al virus, aiutandoci a definire la quantità di anticorpi necessaria per avere una protezione efficace sul campo. Inoltre, permetterà di capire quanto durano la risposta e la memoria immunologica e, quindi, l’eventuale protezione".

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