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Milano, il coronavirus le ha portato via mezza famiglia: il tema della giovane di terza media

Il tema è stato scritto da Paola Banfi, studentessa della fondazione Grossman di Milano

La pandemia l'ha colpita direttamente, al cuore. In pochi giorni il coronavirus le ha strappato il nonno, una zia e uno zio. Ma lei, Paola Banfi, giovanissima milanese che frequenta la terza media alla Fondazione Grossman, non si è lasciata abbattere. Anzi, durante un compito di scrittura assegnato dal suo professore in seguito alla lettura di un racconto di Giovanni Guareschi (Grazie Germania) ha messo nero su bianco una riflessione. E in un passaggio lo ha persino ringraziato l'agente patogeno arrivato dalla Cina perché nei mesi del lockdown ha scoperto una nuova passione, quella per la scrittura.

Il racconto di Paola Banfi

Signor Covid, tu mi hai costretta a stare in casa, a non poter più giocare a pallavolo, a non poter più andare a scuola e ridere e scherzare con i miei amici.

Ma questo non ti bastava, ti sei preso anche mio nonno. E mia zia e mio zio.

Sembra che tu mi abbia fatto del male, sembra che io abbia passato tre mesi di tristezza, di prigionia, trascorrendo le giornate a piangermi addosso e a mangiare. Ma ti assicuro che non è così, non mi hai presa.

Signor Covid, tu non mi hai presa, non mi hai messo in prigione, anzi sono stata libera, mi hai fatto conoscere lati di me stessa che non conoscevo e mi hai fatto capire che la vera prigionia era il modo in cui vivevo prima: quando andavamo a scuola mi sentivo perennemente in competizione con qualcuno, dovevo sempre mostrare il lato migliore di me, vestirmi di marca, mettere maschere per farmi accettare…

Mentre ora sono me stessa, mi sono conosciuta. Ho capito che se non mi piace quello che vedo devo cambiare modo di guardarlo. Ho capito che senza essere me stessa non potevo essere felice, ho capito che il mondo è pieno di persone che mi accettano per come sono, ma altrettante che non mi sopportano e va bene così, perché non devo piacere a tutti.

Signor Covid, non solo mi hai fatto capire questo ma mi hai anche fatto appassionare alla letteratura.

La scrittura mi ha accompagnato in tutti questi mesi: scrivevo spesso, quando stavo male, quando ero felice o arrabbiata. Scrivevo quando volevo, ma soprattutto quando ne avevo bisogno. La scrittura mi ha fatto compagnia, potevo scrivere di tutto e mi sentivo libera nello sfogarmi, nel raccontare le mie giornate in una nota sul mio cellulare. Ormai ho le note piene di pensieri, lettere senza destinatario, sfoghi e gioie, insomma nella scrittura ormai c’è la mia vita. 

Mi ha fatto compagnia quando la mattina guardando il cielo vedevo la faccia di mio nonno, ma al posto di sorridere piangevo, perché mi mancava, e allora improvvisavo lettere e poesie indirizzate a lui.

La domanda che mi sono posta a questo punto è stata: perché questa passione per la scrittura è venuta fuori solo ora, se ce l’ho sotto il naso da anni? A questa domanda ho risposto tante volte che, forse, mi sono appassionata alla scrittura perché ne ho capito il senso a lezione. Ho capito che i libri che leggevamo in classe non erano lettere messe a caso da persone che un giorno si sono svegliate e hanno detto: “Dai oggi scrivo l’Odissea!”. No, non è così, ho capito che dietro queste parole c’erano i pensieri, la vita, gli attimi, le circostanze che qualcuno teneva a raccontarci. Ho capito che nemmeno una storia per bambini è scritta per caso.

Alla fine ho capito che niente è per caso. 

Mi è venuta questa passione perché leggendo i libri era come se vivessi la vita del protagonista o dello scrittore del libro. Insomma, vivevo una vita diversa dalla mia, da cui però potevo trarre qualcosa, potevo portarmi a casa una storia. E da qui, capendo il senso della letteratura, mi è venuta la passione per la scrittura e la lettura e anche se non leggo ancora molto, ho fatto molti passi avanti rispetto al passato.

Quindi Signor Covid ti ringrazio, perché stando in quarantena mi sono accorta che, come abbiamo letto molte volte in classe, si può essere liberi anche se apparentemente sembra di non esserlo.

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