Magliano, la morte poco dopo essere diventato nonno
Aveva da poche ore saputo di essere diventato nonno. Nel 2009, sulla stessa vetta, perse un altro compagno di spedizione, Giuseppe Antonelli
Alberto Magliano, morto sul Manaslu nella notte tra sabato e domenica, era nato nel 1945, a Trieste, ma si era trasferito immediatamente a Milano. Era uno degli scalatori non professionisti più esperti d'Italia. Aveva conquistato le "Seven summits", ovvero le sette vette più alte di ogni continente, dall'Everest al McKinley in Nord America, "finendo" in una ristretta cerchia di circa 150 alpinisti in un tutto il mondo.
Dopo il liceo classico Beccaria, si era laureato in Giurisprudenza in Statale. Aveva una figlia, Silvia, che l'aveva appena reso nonno. Magliano, secondo quanto è stato riferito, aveva appreso la notizia poche ore prima della tragedia. Era stato dirigente d'azienda; ora consulente. In montagna si allenava a Chiesa Valmalenco.
Sulla passione per la montagna scriveva sul suo sito: "Ho cominciato tardi a praticare l'alpinismo, dopo i trentacinque e in un periodo di attività lavorativa frenetica. Ho avuto però la fortuna di trovare subito in Valmalenco un maestro di altissimo livello, Paolo Masa, grande arrampicatore e guida alpina, uno dei "sassisti" degli anni settanta, scopritori della Val di Mello e interpreti del free climbing di stampo californiano: tutta la parte tecnicamente più significativa della mia attività, attraverso oltre un ventennio trascorso al recupero del tempo perduto, si è svolta con lui. Parallelamente è cresciuta tra noi un'amicizia di grande spessore. Altre guide alpine di alta professionalità mi hanno condotto su vie importanti delle Alpi: Giovanni Bassanini, Michele Comi e Aldo Leviti".
Non era la prima volta che il Manaslu gli riservava una sorpresa terribile. Sempre sul sito racconta: "Nella primavera 2009 parto per il Manaslu. Siamo in dieci, il capospedizione è Mario Merelli. Dopo un mese di aprile segnato da nevicate senza precedenti, riusciamo a raggiungere campo 3, a circa 7.000 m. Qui purtroppo succede ciò che non mi era mai capitato: durante il tentativo – fallito da tutto il gruppo – di salita alla cima, muore uno di noi, Giuseppe Antonelli di Trento, 38 anni e un paio di 8.000 all’attivo. Gli è stato fatale un edema polmonare, la malattia delle altissime quote che sull’Himalaya è sempre in agguato. Era un ragazzo buono e simpatico. Torniamo a casa tutti tranne Mario Panzeri, che una ventina di giorni dopo riuscirà a trovare una finestra di bel tempo e a raggiungere la cima".