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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca

Dipendenti di una ditta di pulizie, in realtà sono i pusher della coca per i vip e volti noti della tv

Altre dieci persone arrestate, in seguito all'indagine The Hole dei carabinieri di Milano

Per tutti erano dipendenti di una cooperativa di pulizia e giardinaggio con sede in zona Città Studi ma realmente facevano parte di una super organizzazione che gestiva chili e chili di cocaina da vendere nei "salotti buoni" di Milano. E' quanto emerge dall'indagine dei carabinieri del comando provinciale di Milano - la seconda trance di The Hole - che hanno eseguito altre dieci ordinanze di arresto contro nove italiani e un marocchino. 

A maggio i militari del nucleo informativo, guidati dal colonnello Michele Miulli, con un maxi blitz che aveva visto impegnati oltre duecento uomini avevano dato esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di ventitré persone ritenute responsabili a vario titolo di "cessione di sostanze stupefacenti, ricettazione, porto illegale di armi comuni da sparo, detenzione abusiva di armi e munizioni e intestazione fittizia di beni". Sedici di loro sono finite in carcere, altre sei ai domiciliari e per una è stato disposto l'obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. 

Il lavoro dei carabinieri - che hanno sequestrato oltre 300 chili di droga - era partito da giugno 2017, quando gli uomini dell'arma erano riusciti ad arrestare i due rapinatori "mascherati", che in meno di un anno avevano messo a segno venticinque colpi e che a novembre 2015 erano andati vicini ad uccidere un militare in uno scontro a fuoco dopo una rapina. Nel loro box, al momento della perquisizione, gli investigatori avevano trovato un chilo di cocaina e un chilo di marijuana: segno evidente, questo, che i blitz in banca fossero soltanto un modo per avere soldi per comprare droga. A quel punto, i carabinieri hanno risalito la corrente e sono arrivati a Michele Antonino, un 41enne di Bollate che forniva gli stupefacenti ai due. 

Il buco e gli uomini della 'ndrangheta

L'uomo, stando alle indagini, avrebbe portato avanti anche un giro di spaccio personale in via Turati a Bollate, in quei "palazzoni" che nel tempo - tra droga e vedette - sono stati sempre più paragonati a una piccola Scampia, anche per quella somiglianza strutturale con le più tristemente note "vele".

Lì, il 41enne aveva creato per i clienti un buco - una sorta di tunnel - che portava gli acquirenti direttamente in casa sua e di sua madre o da una vicina compiacente, che evidentemente si trovava bene nei panni dell'insospettabile spacciatrice. La vera forza di Antonino, però, erano i contatti. A procurargli la cocaina - in una sorta di livello superiore di una piramide criminale - erano infatti i cugini Barbaro: Domenico e Antonio, entrambi di Platì ed entrambi, secondo quanto riferito dal colonnello Miulli, "uomini di 'ndrangheta e trafficanti abituali".

"Amici" dello spacciatore di Bollate erano anche Giuseppe e Alberto D'Aiello, casertani con contatti nel campo nomadi di via Negrotto e in grado - sempre secondo le indagini - di muovere importanti quantitativi di droga e armi. 

I clienti vip e le consegne a domicilio

La loro cocaina - si legge chiaramente nell'ordinanza firmata dal gip Maria Vicidomini - aveva un canale preferenziale per finire ai vip di Milano. Tra i clienti noti della batteria dei D'Aiello ci sarebbero infatti modelle, fotomodelle, ex concorrenti del Grande Fratello, conduttori televisivi, ristoratori, cuochi del centro e personaggi della moda. 

Non solo vip e personaggi famosi, però. Perché i due - Alberto soprattutto - avevano messo in piedi un'ottima rete di spaccio nel centro città, dove i pusher iniziavano a vendere verso le 18 ogni giorno per prolungarsi fino a tarda notte durante i weekend, quando i locali si riempivano di potenziali clienti. 

Il capo e il centro estetico 

Se la cocaina arrivava grazie a contatti interni - via Olanda e via Germania -, l'hashish e la marijuana necessari alle varie "batterie" venivano invece importati dal Marocco attraverso la Spagna. Gli stessi carabinieri di Milano, infatti, sono riusciti a scoprire un capannone a Dùrcal, in Andalusia, dove la droga veniva lavorata prima di essere sistemata sui camion - uno è stato bloccato al traforo del Frejus -  in partenza verso l'Italia. 

A muovere le fila, dall'alto, ci pensava - stando a quanto riferito dai carabinieri - Antonio Agresta, una sorta di deus ex machina di tutti i gruppi di spaccio.

Quarantacinque anni, calabrese di Platì, Agresta è stato riconosciuto capo della locale di Volpiano - una costola della 'ndrangheta nel Torinese - ed era l'uomo a cui tutti facevano riferimento per riuscire ad arrivare alla droga. Lui e gli altri vertici, hanno accertato gli investigatori, usavano spesso un centro estetico di Cerro Maggiore - di proprietà di un presunto trafficante ma intestato a un prestanome ed ora sequestrato - per i loro incontri di affari in cui decidevano come e quanta droga muovere. 

E la droga mossa era davvero tanta, tanto che la cocaina si "spostava" dalle "Vele" fino a Novara, Como, Varese e la Liguria passando per corso Como e il cuore della movida di Milano per arrivare ai clienti "importanti", a cui la coca - secondo l'inchiesta - veniva consegnata fino a casa. Proprio quella coca passate per le mani della 'ndrangheta.

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