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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Folla ai funerali del pm Musso: "Esempio di rettitudine e ricerca giustizia"

Astigiano d'origine e "contadino nell'animo", come amava definirsi lui stesso, Musso aveva iniziato a lavorare in Sicilia, combattendo i corleonesi: una battaglia che poi aveva proseguito anche al Nord, a Milano, da dove era riuscito a far condannare all'ergastolo Totò Riina, il capo dei capi

Folla ai funerali del pm di Milano Marcello Musso, scomparso tragicamente nei giorni scorsi mentre era in vacanza ad Agliano Terme, nell'Astigiano, dove vive la sua famiglia d'origine. L'uomo era stato investito da un'auto mentre era in bicicletta. 

La chiesa San Giacomo Maggiore martedì era gremita di famigliari, persone comuni e da tanti magistrati e investigatori che l'hanno conosciuto. C'erano il procuratore di Milano, Francesco Greco, i colleghi Alberto Nobili e Gian Carlo Caselli, Armando Spataro, Laura Barbaini, Carmen Manfredda e il pm dei minori Anna Maria Fiorillo che condivise con Musso il caso della 'coppia dell'acido' che portò alla condanna di Martina Levato e Alessandro Boettcher.

Il parroco ha letto un messaggio scritto dall'avvocato Maria Assunta Notarangelo in cui era definito "grande persona, vissuta nel più assoluto e dignitoso anonimato" ed "esempio di rettitudine e ricerca giustizia".

Chi era Marcello Musso

Astigiano d'origine e "contadino nell'animo", come amava definirsi lui stesso, Musso aveva iniziato a lavorare in Sicilia, combattendo i corleonesi: una battaglia che poi aveva proseguito anche al Nord, a Milano, da dove era riuscito a far condannare all'ergastolo Totò Riina, il capo dei capi. 

Sua anche l'inchiesta "Pavone", sul traffico di droga tra Quarto Oggiaro, la Brianza e Mariano Comense, anche quelle terre di malavita organizzata, terre di chili di cocaina mossi in giro per il mondo e di legami, stretti e saldi, con la 'ndrangheta. 

E c'è la firma di Musso anche sul processo contro Martina Levato e Alexander Boettcher, la coppia dell'acido poi condannata definitivamente: lei a diciannove anni e sei mesi e lui a ventuno anni perché ritenuto l'ideatore. Proprio quelle condanne avevano spinto il magistrato a chiedere che il figlio di Martina e Alexander venisse dato in adozione, con Musso che aveva portato un regalo al piccolo in clinica e davanti ai giornalisti si era lasciato andare a un commento dolce, quasi da nonno, dicendo: "Il bimbo è bellissimo". 

Le minacce e il caso scorta

Durante quel processo, il magistrato della direzione distrettuale antimafia era finito anche nel mirino di qualcuno, che lo aveva pedinato. Il 3 aprile, tornando da una delle sue solite lunghe giornate al palazzo di giustizia meneghino, Musso aveva trovato nella sua cassetta della posta due lettere anonime, scritte in un italiano stentato, che attaccavano il suo lavoro per il processo sulla coppia diabolica e - presumibilmente - per l'operazione Pavone. 

"Ti piace vedere gente portata in manette", si leggeva, con una sorta di citazione di uno degli arresti per la 'ndrangheta al Nord. E ancora: "Ti immischi anche nel bambino - probabile riferimento al figlio della Levato -, rippeti che sei orgoglioso discrazie degli altri ma attento. Acido ce n'è anche per te".

Inizialmente, nonostante le minacce neanche tanto velate, a Musso era stata negata la scorta, poi arrivata in un secondo momento.

L'ultima grande inchiesta firmata da Musso è arrivata a compimento a fine luglio, quando lui, la guardia di finanza e i carabinieri hanno scoperto un enorme giro di cocaina dal Perù alla Lombardia, con la droga fatta arrivare in Italia intrisa nelle copertine dei romanzi e poi lavorata in un'officina abusiva a Trezzano sul Naviglio, anche grazie a un'ambulanza del 118.  

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