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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca

Milano, ecco la banda che il primo maggio 2015 mise la città a ferro e fuoco per l’Expo

Quasi chiusa l'indagine sui black block del "No Expo". Il Fatto Quotidiano svela tutti i dettagli

Spazi lontani dal centro occupati per accogliere i sodali in arrivo da mezza Europa. Mappe con vie di fuga già segnate in caso di guai. Obiettivi da colpire scelti e fissati. Squadre, blocchi, già organizzate e indottrinate. C’era un piano, un disegno ben preciso, dietro la devastazione del 1 maggio 2015, quando per un intero pomeriggio Milano fu messa a ferro e fuoco dai black block che presero parte alla manifestazione “No Expo”. 

Quel giorno, proprio nel giorno dell’inaugurazione dell’Esposizione universale, il centro città fu “violentato”, le auto bruciate, le banche distrutte e fu solo un caso che i feriti, alla fine, furono pochi e nessuno in gravi condizioni. I danni, invece, furono tanti - circa tre milioni - e Milano seppe rialzarsi e reagire anche grazie all’aiuto dei cittadini che già nel day after si misero a pulire strade e muri.

Le indagini della Digos di Milano, finora, hanno potuto fare luce solo su quello che le loro telecamere ripresero. Tre persone sono state condannate - solo una per devastazione, accusa inizialmente valida per tutti -, una è stata assolta e cinque greci, fermati in un blitz del novembre 2015, sono ancora tutti nel Paese ellenico perché per loro non è stata concessa l’estradizione. C’è qualcosa, però, le telecamere di polizia e carabinieri non hanno catturato perché non potevano: l’organizzazione preventiva di quella stessa guerriglia urbana. 

E proprio questa seconda inchiesta, ancora formalmente aperta, ha già chiuso il cerchio attorno a ventidue persone - per ora denunciate - i cui nomi sono già finiti, sempre grazie alla Digos, sul tavolo del dipartimento antiterrorismo di Milano. 

Corteo No Expo 1 maggio 2015 - Foto Gemme

SecondoIl Fatto Quotidiano”, che evidentemente è entrato in possesso delle carte, si tratterebbe dei ragazzi - diciotto sono proprio milanesi - che seduti attorno a un tavolo organizzarono quella giornata di follia. 

Scrive “Il Fatto

La provenienza è quella, generalissima, dell’area anarchica. Più specifica la localizzazione nella mappa cittadina, che si allunga verso la zona del Giambellino. Uno dei leader di questo gruppo è stato individuato in Valerio Ferrandi, figlio di Mario Ferrandi, l’ex di Prima Linea - poi pentito e oggi riabilitato - che il 14 maggio 1977 uccise in via De Amicis il brigadiere Antonio Custra. Ferrandi, che la mattina del primo maggio fu controllato da una volante e poi lasciato andare, nelle settimane successive agli scontri ha lasciato l’Italia rifugiandosi a Panama, passando le giornate tra mare e aragoste, come testimoniano le foto sul suo profilo Facebook. Il suo gruppo, secondo la ricostruzione degli investigatori, ha iniziato a pianificare la guerriglia già nel mese di marzo. In questo periodo vengono registrati diversi viaggi in aereo per mezza Europa. Obiettivo: sondare il terreno con i vari gruppi stranieri e ottenuto l’ok iniziare la pianificazione.

Una pianificazione che, a giudicare dai danni e dalle scene del 1 maggio, riuscì in pieno. Ma quel 1 maggio fu solo l’apice di una preparazione iniziata molto prima. 

Scrive ancora “Il Fatto”: 

La banda di Ferrandi nel mese di febbraio del 2015 ha occupato l’hotel abbandonato in via Ruggiero Settimo nella zona di via Washington con lo scopo preciso di accogliere parte degli stranieri. Lo stesso è stato fatto in via De Predis dove ha sede Radiocane. Qui alcuni appartamenti furono sgomberati già il 30 aprile. E poi c’è la logistica. Ogni gruppo straniero è stato gestito da un referente dei milanesi sia prima sia durante la guerriglia. C’è di più: saranno sempre gli anarchici milanesi, nella tarda mattinata del primo maggio, a radunare la parte più consistente del blocco nero in via Gola, suk anarchico a due passi dal Naviglio pavese. La visione dei filmati, poi, ha restituito un quadro organizzativo evidente. Le prime devastazioni iniziano in via De Amicis verso via Carducci. Qui, oltre alle mazze, i milanesi oggi denunciati distribuiscono cartine con tracciate, oltre al percorso, possibili vie di fuga.

Il “segreto” del gruppo, rimasto anonimo fino ad oggi, è stata l’assenza di qualsiasi tipo di comunicazione rintracciabile o intercettatile. Tutto è avvenuto attraverso gesti e segnali convenzionati e studiati. Ma anche questa è una prova che la guerriglia di Milano fu pianificata. 

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