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Cronaca

San Raffale, fiumi di denaro sottratti. Don Verzè indagato

Nei guai don Verzè e Piero Daccò, consulente. Raffiche di perquisizioni della gdf. Fiumi di denaro sarebbero stati sottratti alla Fondazione San Raffaele-Tabor per poi prendere altre vie

Fiumi di denaro "sottratti" alla Fondazione San Raffaele-Monte Tabor, oberata da un miliardo e mezzo di passivo e ammessa da poco al concordato preventivo, per poi finire su conti esteri o prendere altre vie, non solo tramite bonifici ma anche, questo il sospetto, in contanti. Denaro che sarebbe uscito dalle casse del gruppo ospedaliero grazie a un giro di contratti strapagati e consegnato, si ipotizza anche in buste, dall'ex vicepresidente Mario Cal, morto suicida lo scorso luglio, a Piero Daccò, il consulente in rapporti d'affari con l'ente, che è stato fermato ieri pomeriggio a Milano.

E' questa la ricostruzione dei pm milanesi Luigi Orsi, Laura Pedio e Gaetano Ruta, titolari dell'inchiesta per bancarotta aggravata, che ieri ha portato al fermo di Daccò e oggi la Gdf ad effettuare una raffica di perquisizioni: tra queste anche lo studio e la "cascina" dove vive Don Verzé, il fondatore del San Raffaele, anche lui indagato, l'ufficio e l'abitazione della sua segretaria particolare e due yacht riconducibili al mediatore d'affari vicino al governatore lombardo Roberto Formigoni.

A mettere inquirenti e investigatori sulle tracce di Daccò sono state le 25 mila e-mail degli ultimi 10 anni ritrovate nel computer di Cal, il cui nome ricorreva spesso insieme a quelli (moltissimi) di fornitori, medici, professionisti e qualche politico.

Da qui decine e decine di interrogatori di dipendenti del gruppo che hanno condotto a una conclusione: il mediatore di affari e consulente della Fondazione e titolare di parecchie società sparse in vari paesi, era una presenza costante negli uffici di Cal quasi come un "amministratore ombra". Lui, per esempio, a differenza di quasi tutti gli altri, poteva vedere l'ex "braccio operativo" di Don Verzé senza prendere alcun appuntamento. Il suo nome, nelle agende dell'allora vice presidente, negli ultimi tre anni è segnato quasi tutte le settimane. A lui, come hanno testimoniato in molti, sarebbero state consegnate da Cal o da altri al suo posto, buste con denaro. Consegne di contanti in nero su cui sono in corso accertamenti per capire come venissero usati e dove andassero a finire: si ipotizza comunque che in parte fossero stati veicolati in società estere riconducibili allo stesso Daccò, per conto del san Raffaele.

Tant'é che, come riporta il decreto di fermo, per i pm sussistono elementi per affermare che anche Don Verzé era a conoscenza delle meccanismo legato alle sovraffatturazioni. Si tratta, per la Procura di "gravi indizi" che, uniti ai tre episodi descritti nel dettaglio nel provvedimento di fermo, assieme al pericolo di fuga (la sua famiglia vive nel lodigiano, lui risiede a Londra e lavora in Svizzera), hanno spalancato le porte del carcere di Opera a Daccò. Ora i pm stanno preparando la richiesta di convalida del fermo e di custodia cautelare in carcere che domani finirà sulla scrivania del gip Vincenzo Tutinelli. Per dopodomani è atteso l'interrogatorio davanti al giudice. A finire sotto inchiesta per concorso in bancarotta aggravata anche l'ex direttore amministrativo Mario Valsecchi, i costruttori-fornitori Pierino e Gianluca Zammarchi, e Andrea Bezzicheri, loro socio nella Metodo.

Lo si legge nel decreto di perquisizione dove sono sintetizzate le tre operazioni 'sospette' contestate a vario titolo ai sei indagati, con cui sarebbero stati versati a Daccò circa 3 milioni e mezzo di euro: la prima riguarda il compito affidato al consulente di una ricerca sul mercato di un aereo Bombardier, mai trovato e retribuito con due milioni di euro (un contratto normale prevede un compenso di 20/30 mila euro); la seconda 510 mila euro finiti a Daccò, quale beneficiario della Harmann Holding con sede in Austria, e pagati dalla Fondazione per gestire contenziosi legali nei paesi del terzo mondo; l'ultima, che risale al 23 e 24 dicembre 2008, riguarda il versamento di un milione di euro, tramite Metodo srl, all'austriaca M.T.B. riferibile sempre a Daccò, "con la fittizia ed apparente causale di anticipo sull'acquisto di un immobile in Cile". Operazioni che, come ha spiegato l'avvocato Giampiero Biancollella, il difensore del mediatore, "saremo in grado di chiarire" così come "se sono state consegnate delle buste vi sarà analoga concreta spiegazione". Il legale, che definisce "pura follia ritenere che i suo cliente sia stato una sorta di amministratore ombra", esclude che avesse intenzione di recarsi in Israele " per sottrarsi alla giustizia" (fonte: ansa).

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