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Cronaca Forlanini / Viale Enrico Forlanini

«Mi costringono a non vedere mia figlia senza alcuna motivazione»

Storia di Antino, vigile a Lissone. Non è tossicodipendente, non ha patologie psichiatriche, ha un lavoro sicuro, una casa; eppure il tribunale di Milano potrebbe affidare la figlia a un'altra famiglia

«Non sono un tossicomane e non faccio uso di alcuna sostanza, non sono alcolizzato, non soffro di alcuna patologia di ordine psicologico, lavoro e detengo un’arma per cui sono incondizionatamente idoneo, ho una casa che permette i giusti spazi per me e mia figlia, non ho mai subito condanne di sorta. Perché mia figlia non può stare con me?».

Con queste parole Antino Sanzone, agente di polizia locale di Lissone, racconta il dramma che lui e sua figlia F. stanno vivendo in questo momento. È da tre anni che F. vive in una casa famiglia lontana dal padre e dall’affetto dei nonni, da quando cioè è stata allontanata dalla casa della madre, la quale soffre di gravi disturbi psichiatrici.

A breve il tribunale di Milano deciderà se affidare la bambina, oggi dodicenne, a un’altra famiglia o se potrà andare a vivere con suo padre, il quale da tempo si batte per dimostrare che può provvedere alla figlia.

Antino però è stato giudicato dai Servizi Sociali inidoneo a fare il papà, in quanto ha ricevuto in passato due denunce per maltrattamento da parte della ex moglie. Entrambi i provvedimenti però sono stati archiviati dai carabinieri. Inoltre la sua ex lo ha descritto più volte come un tossicomane alcolizzato. Ugualmente questa accusa è caduta dopo gli accertamenti che Sert e Noa hanno svolto a carico di Antino.

«Anche lo psichiatra designato dal servizio sociale, ha dichiarato che “non presento patologie di sorta” e non necessito del proseguimento della presa in carico –continua -. Il servizio sociale del comune di Limbiate ha inoltre effettuato un sopralluogo presso la mia abitazione verificando le condizioni del mio alloggio giudicandole idonee. Eppure dal gennaio del 2012 incontro mia figlia 2 ore ogni 15 giorni con la facoltà di uscire dalla struttura, ma in compagnia di una educatrice».

Antino da tempo combatte per riavere la figlia a casa: ha reso pubblica la sua storia, si è rivolto ad associazioni, amici e parenti per spingerli a denunciare la sua situazione, si è affidato all’avvocato Francesco Miraglia, noto per le battaglie che ha combattuto per altri genitori, e ha cercato, senza riuscirci, di parlare direttamente con il giudice che si occuperà del suo caso.

«Ho chiesto di essere ascoltato dal giudice prima della fine dello scorso anno, ma mi ha risposto che attendeva il riferimento del servizio sociale – continua il signor Sanzone -. Ad oggi ancora nulla, l’ultimo riferimento dei Servi Sociali risale ad aprile 2011, da allora niente più». Nel marzo 2012 Antino scopre che è intenzione dei Servizio Sociali affidare sua figlia a un’altra famiglia per motivi non riscontrabili in nessuna documentazione.

«Quando ho letto dalla relazione del servizio al Tribunale dei minori ho scoperto che secondo loro non avrei la possibilità di stare con mia figlia non avendone il tempo materiale, anche se lavoro 6 ore al giorno e che necessiterei solo dell’appoggio dei miei genitori, i quali sono stati giudicati inidonei dopo sole due visite di un'ora circa cadauna, mentre in realtà hanno cresciuto egregiamente i figli di mia sorella dei quali ancora si occupano – prosegue Antino -. Inoltre hanno scritto che la mia impulsività sarebbe deleteria. A nulla quindi vale quanto finora da me dimostrato e quanto certificato dallo psichiatra a cui il servizio sociale stesso mi ha inviato, persistendo nell’intento del tenermi lontano da mia figlia con motivazioni solo ed esclusivamente pretestuose per non dire palesemente false e non supportate da documentazione o accertamento alcuno».

La decisione del giudice arriverà presto, ma Antino non crede nel buon esito del processo in quanto per legge le prove da lui mostrate non possono essere prese in considerazione.

«Per la natura stessa del Tribunale dei minori, che è un istituto fondato nel 1934 da un Regio Decreto, la decisione sarà presa sulla sola base dei resoconti dei Servizi Sociali e degli psicologi senza alcun contraddittorio e senza prendere in considerazione le prove da me presentate. Non sono pertanto molto ottimista». Questa l’amara e lucida conclusione del racconto di Santino, storia, forse, di un'ingiustizia. 

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