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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

La famiglia che desiderava un figlio terrorista: arrestati il padre e il ragazzo, espulsa la madre

Padre e figlio sono stati arrestati. La moglie e la madre dei due è stata espulsa dall'Italia

Era orgoglioso di quel figlio che aveva deciso di accettare i suoi consigli e di imbracciare il Kalashnikov. Era fiero, soddisfatto, di quel ragazzo che aveva lasciato casa per seguire le sue orme. Perché per Fayek Shebl Ahmed Sayed - egiziano di cinquantuno anni, da ventotto anni in Italia - la jihad, la guerra santa islamica, era una sorta di affare di famiglia. Un affare in cui, dopo pressioni e incoraggiamenti, era riuscito a coinvolgere suo figlio Saged, che di anni ne ha ventitré ed è nato in Serbia. 

I nomi di padre e figlio, adesso, sono finiti in un'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal Gip del tribunale di Milano, Carlo De Marchi. Sayed e Saged - che vivevano a Fenegrò, nel Comasco - sono accusati di associazione con finalità di terrorismo: il cinquantunenne è in carcere, fermato dagli uomini della Digos di Milano e Como, mentre il giovane è ufficialmente latitante perché dal 30 giugno 2014 si trova in Siria. 

Padre e figlio arrestati per terrorismo

Combattente per l'orgoglio del padre

A mandarlo lì, nel ruolo di "padre reclutatore", era stato proprio suo papà. Sayed - ex mujaheddin in Serbia  tra le fila di Al Qaeda negli anni '90 - desiderava ardentemente avere un figlio "guerriero", tanto che aveva cresciuto il suo ragazzo raccontandogli delle gesta del suo passato e facendogli vedere foto e video di quei tempi nei Balcani. Quattro anni fa, finalmente, era riuscito a metterlo su un aereo a Malpensa con direzione Turchia: da lì, poi, Saged era arrivato in Siria - nella zona di Idlib -, dove si trova ancora oggi. 

E in questi anni - ha raccontato il pm Alberto Nobili, che ha coordinato l'indagine - è stato sempre Sayed a occuparsi del mantenimento del ragazzo perché - queste le parole del magistrato - "per la famiglia era un orgoglio avere un figlio combattente". 

Praticamente disoccupato - negli ultimi tempi aveva perso il suo lavoro da saldatore -, l'uomo ha così costretto la moglie, la figlia e l'altro figlio a fare sacrifici per riuscire a inviare duecento euro al mese a Saged, impegnato nei combattimenti nei territori controllati dallo Stato Islamico.

Il figlio "cane" che vive all'occidentale

Ma in qualche modo - e per lui questa era una vera sconfitta - il cinquantunenne aveva fallito perché non era riuscito a portare sulla strada della jihad anche l'altro figlio, un ventiduenne.

Quel giovane, così ne parlava il papà non sapendo di essere intercettato, era un "cane", una sorta di traditore che aveva scelto di vivere all'occidentale. 

La guerra in Siria per la jihad

Saged, invece, aveva voluto tutta un'altra vita: il viaggio in Siria, l'affiliazione con la brigata Nour al-Din al-Zenki - che "sposa" l'islam radicale che fu di Al Qaeda -, la guerra e i morti, sempre con suo padre a fare da "chioccia", da controllore, come quando era intervenuto per parlare con i capi del gruppo e chiedere loro di perdonare suo figlio che era stato messo in punizione per alcune sue simpatie verso l'Isis.

Sayed, infatti, era convinto - ha spiegato il dirigente della Digos meneghina, Claudio Ciccimarra - che le azioni in Siria avrebbero "purificato" suo figlio ed era certo, così diceva alla moglie, che "averlo mandato là mi vale più di cento preghiere".

La mamma di un terrorista e la morte

La donna - marocchina naturalizzata italiana di quarantacinque anni, che è stata rimpatriata - era ben consapevole di tutto quello che accadeva tra suo marito e suo figlio e neanche uno scontro a fuoco in cui era rimasto gravemente ferito il ragazzo, l'aveva convinta a chiedergli di tornare.  

Anzi, quando il giovane aveva mostrato ai genitori la foto di tre suoi commilitoni morti, lei aveva detto a suo marito: "Dio li accolga tra i martiri, beati sono i suoi genitori". 

Foto: alcuni commilitoni di Saged morti in guerra

Morti Isis

E la vita in Siria, nonostante i pericoli, al ventitreenne piaceva e non poco. Il suo profilo Facebook lo mostra in pieno: foto di se stesso in posa armato, immagini in cui fa il gesto del "Tawhid" - un modo per esprimere il concetto dell'unicità di Allah - e video di ostaggi uccisi e sgozzati.

Quelle immagini, però, avevano allarmato il padre, che - con un clamoroso autogol - era andato di sua spontanea volontà alla Digos di Como in due occasioni.

Come è nata l'indagine

La prima volta aveva raccontato agli agenti di non sapere cosa fare con quel figlio diventato "foreign fighter" e aveva confessato, mentendo spudoratamente, di aver paura che anche l'altro figlio - quello che lui avrebbe voluto combattente - prendesse la stessa strada del fratello. Durante la seconda visita, invece, aveva spiegato che Saged lo aveva contattato raccontandogli di essere coinvolto nella gestione di un ostaggio italiano: la vittima - anche se non è ancora accertato il reale coinvolgimento del ventitreenne - era Fabrizio Pozzebon, l'ex consigliere leghista di cinquantuno anni sparito nel nulla in Siria, dove sembra fosse andato per combattere accanto ai miliziani. 

Dopo quelle denunce, avvenute a fine 2015, gli agenti avevano messo sotto controllo i telefoni dell'uomo e avevano riempito la sua casa di cimici. Proprio nell'abitazione, senza sapere di essere ascoltato, Sayed aveva detto alla moglie e ad alcuni conoscenti: "Ho dovuto fare quella sceneggiata per salvarmi la schiena".

E, invece, la schiena non è riuscito a salvarla. L'unico libero della "famiglia della jihad", per ora, è Saged, che è ancora in Siria anche se - ha ammesso il pm Nobili - ci sono fondati sospetti per credere che presto farà ritorno in Italia o in Europa. A quel punto, anche per lui il sogno della guerra santa - e quello della sua famiglia - sarà finito. 

Foto: Saged che fa il gesto del "Tawhid"

Saged - gesto del Tawhid

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