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Cultura

Mia Photo Fai 2018, dalla spazialità del paesaggio alla minuziosità del dettaglio

Grande successo per la mostra. La recensione

Da otto anni Piazza Lina Bo Bardi, Milano, è sede della mostra fotografica che coinvolge spettatori ed espositori con opere provenienti da ogni parte del mondo, facendo esplorare visioni e culture differenti trasposte nell’arte della fotografia. L’ottava edizione, con i suoi 124 stand, ha ospitato il maggior numero di gallerie straniere finora registrate durante questo evento, 37, che spaziavano dall’Europa all’Africa, e dagli Stati Uniti all’Asia. All’interno dello spazio si viene catapultati in più luoghi, come se quelle barriere sociali che da sempre dividono i vari Paesi non fossero mai esistite.

Perno comune a tutti gli espositori, artisti e gallerie, è il mezzo di comunicazione: la fotografia. La fiera, ogni anno, mostra lavori creati con tecniche e idee differenti ed innovative, installazioni e anche “elementi di intrattenimento” per lo spettatore come lo stand di Settimio Benedusi, che quest’anno era in fase di realizzazione durante i quattro giorni di esposizione al pubblico con alcune foto - ritratti dei visitatori. Elemento indispensabile in ogni mostra fotografica, è la fotografia di paesaggio, ben riscontrabile nel lavoro di Fausto Meli che la Galleria SPAZIOFARINI6 ha presentato con i suoi fantastici paesaggi notturni, dove la vera protagonista è la luce lunare. Si tratta di luoghi notturni come suggestioni che affiorano dal buio di una tela virtuale. Dimore e spazi inconsueti in cui la luce lunare e artificiale con il vento sembrano fondersi per creare nuove forme e visioni inedite, dove il non visibile diventa percepibile... o forse sono solo stati d’animo amplificati dall’oscurità.

Gli artisti e le loro opere

Stati d’animo che ritroviamo nel lavoro del fotografo napoletano Giacomo Montanaro, Shazar Gallery, che, grazie all’immersione della carta fotosensibile negli acidi, riesce a realizzare paesaggi desertici e ondulatori con differenti cromie. Veri paesaggi interiori in cui lo spettatore può sbizzarrirsi nell’identificare l’oggetto rappresentato, differente per ogni mente che si ritrova a navigare negli sconfinati ed illusori spazi raffigurati. La tematica del paesaggio, che è stata riproposta lungo l’intero percorso della fiera, è stata studiata anche da un punto di vista emotivo, razionale e di cronaca. Sono stati delineati diversi aspetti della fotografia paesaggistica: non solo la natura incontaminata e spettacolare, ma anche la natura corrotta, quella natura ormai segnata dalla mano distruttrice dell’uomo. Una natura che può essere brutalmente tagliata, e una natura che si cerca di salvaguardare a causa dell’arrivo dell’uomo. Per intensificare il tema della natura corrotta dalla mano dell’uomo, bisogna fare un salto in Romania, dove l’artista Loránd Vakarcs, ha deciso di approfondire la tematica di abitazioni abbandonate e della mutazione della natura dopo l’arrivo dell’uomo. Grazie alla fiera, però, è stato possibile visionare alcuni dei suoi lavori nello stand 4A. L’artista indaga il tema della relatività dello spazio e del tempo da una prospettiva riduzionista.

Con le sue opere vuole trasmettere l’ideale che l’essenza nel mondo è ridotta alla vita in generale, ma anche all’umano e alla moltitudine di aspetti in cui l’uomo si può riconoscere. I soggetti delle sue fotografie sono ridotti fino all’essenzialità, mostrando la povertà ambientale e la spazialità che si pone davanti all’obiettivo, coinvolgendo emotivamente lo spettatore che le osserva. La curiosità di approfondire il discorso sulla natura modificata dall’arrivo dell’uomo, ci ha portato allo stand del giovane pugliese Ulderico Tramacere che analizza l’espianto degli ulivi durante la costruzione del gasdotto nel Salento. Con la sua serie Nylon ci porta sul posto, e nonostante la decisione della resa in bianco e nero, ci trasmette il caldo sole pugliese che si infrange tra i rami degli ulivi, raccolti con dei teli per poterli trasportare con meno rischio di rottura. Con questa serie si vuole indagare l’aspetto mutato di un territorio per mano dell’uomo, la natura che in un certo qual modo subisce una paralisi venendo intrappolata ed espiantata dal suo territorio. Il paesaggio viene anche analizzato nelle sue particolarità, in quel dettaglio che spesso sfugge ad uno sguardo fugace. Questa ricerca del dettaglio e di un’atmosfera immobile, la si ritrova nei recenti lavori del fotografo francese Vincent Descotils, che propone allo spettatore degli scatti incorniciati da cerchi.

Fotografie che spaziano dal paesaggio, alla donna, fino agli animali, spesso rappresentati in lande sperdute, che riescono ad intrappolare un momento nel tempo. Forse questa immobilità è rafforzata anche dalla rotondità del formato, come se anche noi visitatori stessimo osservando il soggetto rappresentato da dietro un obbiettivo fotografico o un cannocchiale. Ed è proprio l’effetto che Vincent ricercava quando ha realizzato la serie Les Sentinelles. Rimanendo sul tema del dettaglio ci siamo spostati in Italia, dove Carla Iacono ci presenta la metamorfosi che il corpo subisce, focalizzandosi sul periodo dell’adolescenza, e mettendo in risalto tutti quei particolari che segnano le tappe fondamentali in un cambiamento radicale e progressivo. Una altra foto fa parte della serie Fairy Glaze e punta tutta la sua attenzione nel dettaglio che mette in luce. Già dal nome della raccolta fotografica si comprende come questi suoi scatti siano ricollegabili alle fiabe, ed è proprio questo linguaggio fiabesco che viene utilizzato per trattare il delicato passaggio dall’adolescenza alla maturità, indagato minuziosamente in tutti i suoi dettagli. Il lavoro è ispirato al metodo psicoanalitico “delle favole” da completare creato da Louisa Dϋss, nato come metodo sperimentale per indagare la psiche infantile e adolescenziale e identificare le resistenze messe in atto da bambini e adolescenti nei confronti di temi conflittuali simbolizzati dalle favole.

Nel metodo della Dϋss gli adolescenti si raccontano attraverso l’invenzione di storie; analogamente le protagoniste di Fairy Glaze, interpretate da un unico soggetto, la figlia adolescente, ci svelano i loro turbamenti: gli abbandoni, le pose inquisitorie e gli sguardi diretti, a volte aggressivi, rivelano le loro tensioni e le loro resistenze, reclamando inequivocabilmente la giusta attenzione ai loro problemi. I problemi, però, non riguardano solo il passaggio dalla fase adolescenziale alla maturità. Siwa Mgoboza è un giovane artista sudafricano che, con la sua creatività, trasportata in fotografia, affronta le cattiverie sociali trasformandole e catapultandole in un mondo immaginario dove tutto è più bello e giusto. La società odierna, purtroppo, non è molto differente da quella del passato in ambito di comportamenti e pregiudizi. Di certo la gente non si astiene da commenti cattivi di fronte a persone di diversa nazionalità, religione o sessualità. Mgoboza ha voluto creare a questo riguardo una “rivoluzione sociale” con la sua arte. Non vi è più bianco o nero. A dominare sono colori accesi e ricchi di energia, i colori che da sempre, e d’impulso, si associano all’Africa. Sudafricano di origini, crebbe e studiò all’estero dove s’immerse nel mondo dell’arte. Tornato in Africa, e rimasto deluso dalle sue aspettative di un Sudafrica egualitario, Mgoboza creò l’Africadia. Un ibrido. Un luogo alternativo dove non vi è alcuna distinzione né sociale né di razza.

Questa sua idea prende piede nelle sue opere dominate da colori brillanti, dati dalla luminosa stoffa africana Ishweshwe, e da figure scultoree che sembrano quasi staccarsi dalla fotografia che fa loro da sfondo. La sua idea di base è creare un’opera che sia immediatamente riconducibile alla sua terra natia, per l’accentuazione dei colori, ma anche che colleghi l’Africa con altre parti del mondo, creando una connessione tra tutte le terre come se non ci fossero né barriere sociali né differenze fisiche. Per questo gli ibridi che popolano l’Africadia assumono colori e forme diverse. Nella Foto 7 è evidente il riferimento con la pittura di Picasso [Foto 8], un tentativo ben riuscito di rendere ancor più universale, nelle specificità fisiche e nello studio del dettaglio, un’opera ben nota di un grande maestro dell’arte contemporanea. La sua arte è un invito al rispetto per ognuno di noi e spinge ad una riflessione interiore. Sicuramente è un lavoro che merita attenzione e meditazione. Dal singolo dettaglio messo in evidenza da Carla Iacono, e da un dettaglio più concentrato nell’intento di creare nell’osservatore una rivalutazione interiore degli ideali di Siwa Mgoboza, si giunge al lavoro di Marco Guenzi in cui vi è uno sguardo attento alle contraddizioni e alle assurdità che dominano la società contemporanea.

Nei suoi lavori i diversi particolari vanno indagati da vicino e singolarmente per poter comprendere appieno il significato dell’opera. Oggetto dei suoi lavori sono tutte quelle tematiche politiche, sociali e culturali che fanno quotidianamente da sfondo nella sfrenata vita mondana. Cerca di indurre alla riflessione e al porsi delle domande sfuggendo al concettualismo. La sua idea gira attorno al riutilizzo di immagini già note agli spettatori, ma rielaborate con una consapevolezza tale da smontare le fake news che ogni giorno spopolano sul web e tramite i social media. Evidente è l’ispirazione alla corrente Dada, per quanto riguarda l’assemblaggio di più immagini e frasi che, insieme, vanno a creare un’opera di senso compiuto che induce alla ricerca di ogni piccolo riferimento e dettaglio minuziosamente inserito.

Il dettaglio, al MIA Photo Fair 2018, è stato anche analizzato da un punto di vista scientifico. Oltre alle installazioni prettamente fotografiche e digitali, lo stand 48A ci ha presentato un’arte tattile e materica. Edilio Livio Alpini si considera un epigono di un futurismo che si sviluppa ed estrinseca in linea sino a Duchamp per un ribaltamento ad una analisi più veritiera di una realtà che non è come appare. Il suo progetto si basa sull’indagine attenta degli oggetti inanimati che ci circondano, andandone a studiare le strutture. Tutto nasce da domande inconsuete come “Cosa succede dentro ad un sasso?”. Curiosità che porta ad indagare matematicamente la materia analizzata e, in questo caso, l’oggetto di studio. Seppur questo genere di opere siano rivoluzionarie, in esse si intravede un’arte che sprofonda nell’intimità delle cose.

L’arte proposta in questo stand era un’arte di ricerca e di curiosità. Un’arte che vuole indagare l’intimità degli oggetti più impensabili e che solitamente non vengono nemmeno presi in considerazione. Questo articolo tratta solo di alcune tra le opere che erano esposte, citando solo alcuni tra gli artisti che hanno presentato la loro idea di fotografia. Con questo elaborato ho voluto mostrare come artisti etnicamente e geograficamente diversi, possano in realtà essere simili. Vi è un filo conduttore, come mostra esplicitamente l’arte di Siwa Mgoboza, che ci unisce, e l’arte è uno di quei mezzi per cui non esistono barriere. Se vi piace l’arte, la fotografia e la creatività, questa Fiera annuale è sicuramente un posto dove poter passeggiare tranquillamente e colmare i vostri vuoti di curiosità, presentando ogni anno nuovi concetti di fotografia. E perché no, magari potrà anche essere il luogo dove troverete una fotografia tanto bella che non potrà mancare al vostro soggiorno.

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