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Airbnb e gli altri: è davvero concorrenza ad alberghi e ad affitti lunghi?

Gli alloggi affittati ai turisti sono sotto accusa incrociata. Il Comune di Milano pensa a un "tetto" per limitarli. Ecco come stanno le cose

Prima gli albergatori, poi le istituzioni: per gli affitti brevi sembra non esserci pace, pur essendo un mercato ancora giovane, in crescita e con numeri ben inferiori sia rispetto alle altre strutture ricettive, sia rispetto agli affitti a lungo termine. Eppure chi mette in affitto breve una stanza o un appartamento è accusato di far concorrenza sia ad alberghi e b&b (togliendo loro clienti turistici), sia ai contratti di locazione 4+4 (togliendo dal mercato appartamenti che potrebbero essere appetibili a giovani coppie, o studenti e lavoratori fuori sede, contribuendo a far crescere i prezzi).

E questo anche se, paradossalmente, su Airbnb (il sito più famoso per chi cerca alloggi in affitto per poche notti) si trovano, anche abbastanza facilmente, alberghi e bed&breakfast che pubblicizzano le loro camere.

Ma chi gestisce gli appartamenti in affitto breve non ci sta e passa al contrattacco, cercando di mettere ordine ai vari punti di critica e difendendo il mercato degli affitti brevi, che spesso viene pensato come un sistema con cui i proprietari "fanno un sacco di soldi" senza troppa fatica. Niente di più sbagliato, ovviamente. 

Ma quante sono le case in affitto breve in Italia? Una stima parla di circa 430 mila alloggi per 300 mila proprietari di cui oltre 220 mila gestori diretti, mentre i property manager, cioè i soggetti che gestiscono per conto terzi un certo numero di alloggi, sono sicuramente oltre 20 mila, ma la maggior parte di essi gestisce meno di 20 appartamenti. Quelli che ne gestiscono più di 100 sono al massimo un centinaio. Il settore, nel 2019, ha ospitato almeno 12 milioni di turisti in Italia, e questo numero fa comprendere come, tutto sommato, si stia parlando di una fetta ancora piccola di mercato: la sola Città Metropolitana di Milano ha contato quasi 10 milioni di turisti in totale. Tornando al settore affitti brevi, sempre nel 2019 ha prodotto 3 miliardi di euro di giro d'affari con una cedolare secca di 660 milioni di euro.

La cedolare secca è l'imposta sulle locazioni ad aliquota fissa del 21% che permette al proprietario di "risparmiare" qualcosa rispetto alla tassazione ordinaria dei redditi, su cui cadrebbero anche quelli da locazione. La sua misura ci può dire quanto lo Stato italiano ha guadagnato nell'ipotesi in cui quegli alloggi fossero rimasti completamente sfitti in assenza di affitti brevi. Come termine di paragone possiamo utilizzare il costo della manovra economica 2020, che è stato di 30,2 miliardi di euro.

Affitti brevi: è vera concorrenza agli albergatori?

Vediamo ora il primo ordine di critiche agli affitti brevi: sono accusati di fare concorrenza ad alberghi e altre strutture ricettive. Si tratta di una critica che ha un peso politico molto forte: nella scorsa legislatura regionale in Lombardia, l'allora consigliere Fabio Rolfi (oggi assessore all'agricoltura) promosse una normativa sulle case vacanze e per affitti brevi estremamente stringente e dettagliata a riguardo degli obblighi per i proprietari: dalla fornitura di brochure in inglese alla quantità di posate da mettere a disposizione. E poi scrisse un comunicato stampa insieme ad una associazione di albergatori. Un caso più unico che raro.

«Eppure i viaggiatori hanno cambiato abitudini di acquisto. Quando viaggiano in famiglia desiderano spazi più ampi, così come quando vanno al mare o in montagna, mentre quando si viaggia per periodi brevi o cambiando spesso città si preferiscono gli hotel», commenta Marco Celani, ad di Italianway, uno dei principali property manager italiani, secondo cui «i due settori sono complementari, come hanno ben capito le grandi catene estere che sono entrate nel settore extra alberghiero».

Per di più, ci sono Paesi in cui la casa vacanza rappresenta l'unico sistema per attirare turisti. Perché alberghi non ce n'erano, o quasi, e gli albergatori, in quanto imprenditori immobiliari, non avrebbero investito costruendo hotel in luoghi con scarso potenziale. Mentre le case esistevano già, e metterle a disposizione dei turisti ha permesso che aumentassero gli arrivi. Questo chiaramente non vale per l'Italia, Paese attrattivo per definizione, ma fa parte del ragionamento complessivo. E può comunque valere per alcune zone italiane meno conosciute.

Affitti brevi: è vera concorrenza alle locazioni a lungo termine?

Simile il discorso sulla presunta concorrenza ai contratti classici 4+4. L'accusa è chiara: la maggior disponibilità di case per affitti brevi ha tolto case per le locazioni a lungo termine, facendo anche aumentare i canoni di queste ultime, perché il proprietario calcola il "costo opportunità" derivato dal mancato maggior guadagno che avrebbe con l'affitto breve. Ma è proprio così? Non del tutto.

Prendiamo la città di Milano: 600 mila alloggi in totale, comprese le famiglie che vivono in casa di proprietà, di cui 100 mila in affitto e 15 mila in affitto breve. In netta crescita, ma si parla ancora di numeri marginali. Il punto però non è soltanto il numero assoluto. «In realtà - spiega ancora Celani - gli affitti brevi non rendono necessariamente più del 4+4. I canoni sono soggetti alla variabilità e, con gli affitti brevi, i proprietari pagano le utenze, il condominio e le manutenzioni ordinarie e straordinarie che nel 4+4 sono a carico dei conduttori».

Ma c'è di più. Gli appartamenti a disposizione per gli affitti brevi, essendo pensati per i turisti, sono concentrati spesso sulle zone più rinomate delle città. Basta fare un giro su Airbnb per rendersi conto di quanti alloggi sono disponibili a Brera, in zona Duomo o al Quadrilatero della Moda. Tutto si può dire tranne che siano alloggi "tolti" al mercato delle giovani coppie o dei fuori sede in cerca di un appartamento in affitto a lungo termine. Uno studente universitario "medio" non va ad abitare a Brera (anche se magari gli piacerebbe), perché mediamente non può permetterselo. Allo stesso modo, un turista "medio" non alloggerebbe in estrema periferia per quelle due o tre notti di permamenza a Milano, se quasi allo stesso prezzo può trovare un appartamento in una zona "cool". 

Se questo è vero, non si può affatto dire che i canoni degli appartamenti in 4+4 crescono perché cresce il mercato degli affitti brevi. In realtà, a Milano come in altre città italiane i canoni di locazione stanno crescendo così come i prezzi delle compravendite immobiliari. Il proprietario "medio", se rinuncia alla locazione 4+4, lo fa per motivi diversi: perché non vuole vivere (o rivivere) l'esperienza di un inquilino che non paga, oppure perché non vuole "impegnare" il suo appartamento per almeno otto anni. 

La posizione del Comune di Milano

Pierfrancesco Maran, assessore all'urbanistica del Comune di Milano, ha provocatoriamente aperto un dibattito chiedendosi se Milano può ancora permettersi Airbnb. Naturalmente lui stesso ha risposto di sì, ma ponendo diverse questioni tra cui alcune appena analizzate. Da quello che si è capito, Maran auspica che Palazzo Marino ponga un "tetto" agli affitti brevi misurato sul numero di notti all'anno. Una scelta già percorsa in Europa: si va dai 30 giorni all'anno di Amsterdam ai 120 giorni all'anno di Berlino.

Un tetto al numero di notti annue permetterebbe di evitare i "professionisti" dell'affitto a breve termine, consentendo però ai cittadini proprietari di continuare ad arrotondare il loro reddito (e per alcuni è una vera e propria salvezza, ma questo non viene quasi mai evidenziato) mettendo a disposizione una stanza o una casa ai turisti per un tempo limitato. Lo stesso Maran riconosceva comunque che va affrontato anche il tema della tutela dei proprietari, se li si vuol invogliare ad affittare con i classicii 4+4 o anche con formule inferiori (come 3+2 o locazioni annuali). Un tema che i Comuni, da soli, evidentemente non possono affrontare.

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