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Giovani e lavoro? Futuro nero, è tutto da rifare

Pubblicata l'indagine S&G Kaleidos per Cisl Milano: il 46,6% pensa che il futuro lavorativo dei giovani sia “nero, e sarebbe tutto da rifare”. E a crederlo non sono solo i giovani, anche gli adulti. Per il 35% “nessun cambiamento all'orizzonte”

Per gli italiani il futuro occupazionale dei giovani è più pieno di ombre che di luci. Il 46,6% lo vede addirittura nero, il 35% grigio e appena il 33,9% pensa che l’istruzione sia “molto” importante per affermarsi professionalmente”. Uno su due, poi, crede che a ragazze e ragazzi non importi più di tanto avere un buon lavoro.

E’ quanto emerge da un’indagine commissionata da Job (mensile free press promosso dalla Cisl di Milano), che sarà pubblicata sul numero di marzo del giornale, in distribuzione da giovedì 11.

Secondo quanto emerso dalle interviste, realizzate da S&G Kaleidos su un campione rappresentativo di persone tra i 18 e 64 anni e oltre, il 46,6% pensa che il futuro lavorativo dei giovani sia “nero, e sarebbe tutto da rifare”, il 35% “grigio, non vedo grossi cambiamenti all’orizzonte”, mentre appena il 18,4% lo vede “roseo” e confida “in una svolta positiva”.
  Il 46,6% pensa che il futuro lavorativo dei giovani sia “nero, e sarebbe tutto da rifare”  

“Ma quali bamboccioni! - osserva Sabria Sharif, responsabile del Coordinamento giovani della Cisl di Milano -, qualcuno c’è di sicuro, ma la maggior ha voglia di fare, il problema è che la strada è spesso ostruita da un sistema che è ancora dominato dai 50-60enni e oltre. Un giovane oggi fa molta fatica a garantirsi un’autonomia economica e, quindi, una prospettiva di vita fuori dalla casa dei genitori. Sul mercato del lavoro dominano i contratti a tempo e persiste un’ampia fetta di sommerso. Come se ne esce? Basterebbe prendere esempio dalle politiche di sostegno allo studio, all’occupazione e all’imprenditoria giovanile di altri Paesi vicini. E poi serve un salto culturale, l’Italia è un Paese con l’ascensore sociale bloccato, che non premia la   meritocrazia e non valorizza le nuove leve. Non a caso tanti se ne vanno all’estero”.

La riprova dell’”ingessatura” italiana è nelle risposte alla domanda su quanto è importante una buona istruzione per fare strada nel mondo del lavoro. Risponde “molto” solo un intervistato su tre (33,9%), mentre il 42,3% dice “abbastanza” e il 23,8% “poco” (“oggi sono altre le qualità che contano”). Non solo, la maggioranza (58,9%) ritiene che quello dell’occupazione giovanile sia un problema specificamente “nostrano” (per il 41,1% è “globale”).
  Non è il titolo di studio oggi a contare per il lavoro  

La speranza è, comunque, l’ultima a morire: il 45,5% invita, infatti, i giovani a “tenere duro” (“prima o poi verranno riconosciute le tue potenzialità”), mentre il 34,4% consiglia di “andare all’estero, perché il nostro è un Paese di veline, tronisti e calciatori” (il 20,1% dice che non saprebbe che suggerimento dare).

Nel complesso, però, quasi il 50% degli italiani invita i le nuove generazioni a darsi una mossa: alla domanda “secondo lei quanto tengono i giovani a una buona occupazione?”, il 41,9% risponde “poco, vorrebbero il massimo con il minimo sforzo” e l’8% “per nulla, non ci pensano lo vedono come un problema lontano”.

Curiosamente questa opinione è condivisa anche dalle classi d’età più basse (18-24 e 25-44). Indica, invece, “molto, la maggior parte studia per affermarsi” il 15,3% e “abbastanza, la maggioranza punta al guadagno alto” il 34,8%.
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