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Pat, i sindacati: "L'intero patrimonio a canone calmierato con criteri giusti"

"I sindacati - spiega Marco Pistolfi del Sicet - chiedono da anni che l'intero patrimonio venga assegnato a canone concordato, ovviamente con regole certe di assegnazione e con una commissione di sorveglianza per evitare privilegi"

Mentre il Pat ha il nuovo commissario, la vicenda degli affitti a prezzi non di mercato sembrava chiusa: tutti d'accordo nel rivedere i criteri e soprattutto nel far fruttare, in un modo o nell'altro il patrimonio immobiliare. Perfino il consigliere comunale di estrema sinistra Basilio Rizzo, intervistato ieri mattina da Oscar Giannino per Radio24, aveva dichiarato che a suo avviso sarebbe meglio che il Pat tenesse per sé i pochi appartamenti indispensabili (ad esempio per ospitare medici e infermieri in trasferta) e facesse gestire tutto il resto a chi ha la professionalità per farlo.

LA POSIZIONE DEI SINDACATI - Oggi invece prendono posizione i sindacati degli inquilini (Sicet, Sunia, Unione Inquilini, Uniat e Conia) e lo fanno andando contro corrente. Propongono infatti un punto di vista completamente diverso, che parte dall'esigenza di offrire appartamenti a canone calmierato. "I sindacati - spiega Marco Pistolfi del Sicet - chiedono da anni che l'intero patrimonio venga assegnato a canone concordato, ovviamente con regole certe di assegnazione e con una commissione di sorveglianza per evitare privilegi". Continua Stefano Chiappelli del Sunia: "Una legge nazionale impone che il 40% degli appartamenti degli Enti pubblici venga riservato a chi, per esempio, ha subìto un'ordinanza di sfratto e non sa dove andare a vivere. Noi sospettiamo che questa percentuale non sia pienamente rispettata nella vicenda Pat, e comunque siamo contrari alle ipotesi ventilate in questi giorni, cioè la vendita di tutto il patrimonio o l'apertura al mercato libero delle locazioni".

CONFEDILIZIA - I sindacati fanno notare che negli ultimi decenni hanno partecipato direttamente alle trattative per i contratti d'affitto insieme al Pat e a Confedilizia, e il risultato è che centinaia di famiglie prima sfrattate hanno potuto trovare alloggi senza pagare cifre molto alte, in alcuni casi accollandosi spese di ristrutturazione per palazzi che, seppure in centro, sono in stato di degrado: ad esempio via San Marco 20, dove in alcuni appartamenti mancano i servizi igienici, o corso Buenos Aires 15 dove le pavimentazioni sono molto rovinate.

LA PERDITA DI MERCATO - Le famiglie "normali" che vivono in questi appartamenti non potrebbero permettersi né un canone libero né, tantomeno, l'acquisto a prezzi di mercato. L'ultimo accordo risale, tra l'altro, a fine gennaio di quest'anno, e vede un ritocco all'insù dei canoni, a fronte di "sconti" per chi dimostra redditi bassi (ma non tanto bassi da poter accedere alle case popolari). La sostanza della richiesta che i sindacati degli inqulini rivolgono al nuovo commissario del Pat e al Comune è quindi di mettere mano alle regole ma di non dismettere il patrimonio immobiliare a canone concordato, in modo da continuare a garantire una valenza sociale alla gestione delle case degli Enti pubblici, peraltro in una città come Milano dove anche in semiperiferia una famiglia media non riesce più a permettersi la casa. E per quanto riguarda gli appartamenti assegnati con l'asta, adoperare una massima trasparenza che finora è in parte mancata. L'obiezione che si potrebbe proporre è che tutto va visto caso per caso, palazzo per palazzo, famiglia per famiglia. E resta il fatto che, stando a stime sui valori immobiliari di mercato, il solo Pat sta perdendo sette milioni di euro all'anno. Forse è un po' troppo in ogni caso.

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