Veritatem inquirenti
Nelle dinamiche dell’arte contemporanea, il disegno assume una posizione complessa: spesso segregato alla sfera dell’illustrazione o dello studio preparatorio, di rado viene riconosciuto al pari di un’opera pittorica o scultorea. Il mercato sembra disinteressarsene, la storia lo accantona.
Eppure è proprio nel lessico stratificato ed esplorativo del disegno che troviamo il vaccino a molti dei mali che affliggono l’odierna civiltá dello spettacolo. Attraverso il disegno l’occhio dell’artista si attiva, impone un lavoro di scoperta ed esamina la struttura delle apparenze, distrugge il superficiale e si pone in un eterno stato di non-finito. Il tratto rinuncia a offrire un facile e rassicurante tono dichiarativo, rende anzi chiaro il processo del farsi. Esso diviene impossibile da risolvere nella sua interezza.
Il disegno vive, non rimane mai uguale a sé stesso e pertanto offre un costante ritorno. Il già-esistente viene messo ripetutamente in questione, si presta al mutamento e all'inclusione di nuove e impreviste vedute, si apre alla possibilità di rendersi altro. Un disegno non si fruisce, si abita e tale permanenza è condivisa con una molteplicità di sguardi estranei che si scoprono mano a mano.
La dirompenza dell’autoidentificazione si infrange contro un muro di grafite, l’osservazione delle opere disegnate non può essere passiva, sconvolge poiché impone un rapporto esperienziale che si raffina in conoscenza. Il disegno non ha né inizio né epilogo, prende le distanze dalla sterile informazione per esigere consapevolezza e comprensione, crea feconda instabilità.