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Segretario leghista lascia il partito: «Tradita l'autonomia, se si votasse ora andrei al mare»

Intervista a Gian Antonio Bevilacqua, ex segretario della circoscrizione leghista di Milano Ovest: «Autonomia e sovranismo antitetici, ma non c'è pericolo fascista»

Membro del direttivo provinciale della Lega Nord dal 2012 al 2017, poi anche segretario della circoscrizione Milano Ovest dal 2015. Ma ora, con una proposta di espulsione dal partito di Matteo Salvini sulle spalle, ha abbandonato (in polemica) il Carroccio proprio mentre ha l'apice assoluto dei consensi, veleggiando ben oltre il 30% nei sondaggi in vista delle elezioni europee del 26 maggio (e qualche sondaggio dà Salvini a quasi il 37%).

Gian Antonio Bevilacqua, in Lega dal 1992, ha accettato di parlare con MilanoToday della sua irreversibile decisione. «Non mi riconosco nella nuova linea nazionale e sovranista del partito», afferna. Il suo racconto parte dall'estate del 2017: quando Salvini si scontrò con Gianni Fava per l'elezione a segretario federale. Un'elezione che il "capitano" stravinse in generale, ma non a Milano città dove Fava ottenne circa un voto su tre. Di qui la necessità, stando alla ricostruzione di Bevilacqua, di riorganizzare il partito a livello cittadino, commssariandolo con Fabrizio Cecchetti (al posto del segretario Davide Boni che aveva sostenuto Fava) e con nuovi metodi.

«Tra questi metodi, la scelta di commissariare tre delle quattro circoscrizioni milanesi tra cui la Ovest, a novembre del 2017, che io guidavo, e poi di "declassare" 25 militanti a soci sostenitori», racconta Bevilacqua. In Lega c'è infatti la differenza tra chi si iscrive solo come sostenitore e chi invece intende dedicare tempo alla militanza attiva; ma si può diventare "militanti" dopo una effettiva militanza di qualche tempo.

«Il primo problema è che lo statuto della Lega Nord prevede che il partito difende le minoranze interne. Ma il secondo problema è che tra quei militanti declassati, che comunque rappresentavano il 10% dei militanti totali in Lega a Milano, c'erano anche persone di 80 anni o malati gravi, nonché persone che facendo parte dei direttivi di circoscrizione non potevano essere tacciati di non impegnarsi». A Bevilacqua non andò giù soprattutto il "trattamento" verso i più anziani, persone in Lega da sempre e che per motivi di età o di salute non potevano certo più fare i gazebo, magari d'inverno.

In disaccordo, dunque, col trattamento riservato a militanti storici, ma anche con la linea politica: «La Lega - argomenta Bevilacqua - è nata come un partito autonomista per difendere le istanze delle Regioni settentrionali. Oggi è un partito nazionale e sovranista che non parla più al Nord ma all'intero Paese. Tanto è vero che il referendum per l'autonomia in Lombardia e Veneto è stato sì sostenuto dalla segreteria federale, ma con una certa freddezza».

Parliamo allora della nuova linea politica. Che al momento sembra avere prodotto ottimi risultati di consenso.

«La mia interpretazione personale è che Salvini abbia in 25 anni difeso le istanze del Nord con risultati piuttosto scarni e quindi voglia incidere in modo pesante aprendo al resto del Paese con un partito nuovo. Ma con il nuovo obiettivo di catturare voti nel resto del Paese non è più possibile presentarsi con le istanze della Lega Nord, quindi è stato necessario cambiare linea politica. Il sovranismo nasce, a mio avviso, per motivi prevalentemente elettorali. Ci si è avvicinati ai partiti di destra trovando uno spazio nel declino di Forza Italia». 

Esiste ancora in Lega la "componente tradizionale"?

«Certo, ma non è compatta. Esistono iscritti e militanti che non hanno abbandonato la questione settentrionale e alcuni sono stati anche eletti alle elezioni regionali lombarde e politiche del 2018. Ma il punto è che, quando si viene eletti, si è portati a mascherare un po' questa differenza, dato che la linea ufficiale è ormai un'altra».

Oggi il partito com'è strutturato? La Lega Nord esiste ancora?

«Oggi esistono due partiti formali: la Lega Nord e la Lega Salvini Premier. Entrambi hanno accesso al 2x1000 con codici diversi. L'ultimo tesseramento era però rivolto alla Lega Salvini Premier. Con il cambio di linea politica era naturale che si arrivasse a un cambio anche di denominazione e di statuto».

C'entrano anche i 49 milioni e i processi di Bossi e Belsito?

«No, non credo vi siano ragioni legate a questo. Non ci sono evidenze di questo tipo».

Avrà visto il post di Luca Morisi con Salvini che imbraccia un'arma da fuoco. Molti osservatori accusano la nuova Lega di strizzare l'occhio all'estrema destra e alcuni la tacciano anche di fascismo. Che cosa ne pensa?

«Escludendo valutazioni politiche, quel post è fuori luogo. Morisi ha scelto una fotografia di archivio e l'ha strumentalizzata il giorno di Pasqua scrivendo che ci armiamo con mitra ed elmetto. Tuttavia, all'interno della Lega non credo ci sia un pericolo di fascismo. Di sicuro, però, si sono avvicinati alla Lega ambienti che lo ricordano. Lo spostamento a destra della linea porta anche a questo. E' imbarazzante l'alleanza con Vox in Spagna così come sentire, alla manifestazione di Roma, persone che inneggiano a Salvini come al "nuovo duce". Ma c'è un altro pericolo a mio avviso più serio».

Quale?

«L'apertura a livello nazionale combinata con il cambio di linea ha prestato il fianco ad altri problemi. In passato, gli unici problemi giudiziari di sostanza sono stati quelli di Bossi e Belsito, ma livelli di dirigenza inferiori non sono mai stati implicati in guai giudiziari. L'impressione è che si siano "allargate le maglie", includendo anche persone di moralità non specchiata». 

Salvini potrebbe rispondere che mai la Lega avrebbe potuto puntare a percentuali così alte. In politica spesso ha ragione chi vince.

«E' un consenso effimero. Se non porti i risultati che hai promesso, quei voti li perdi con la stessa rapidità con cui li hai conquistati. Le due promesse elettorali realizzate, quota 100 e reddito di cittadinanza, non mi sembra che stiano portando a qualcosa di utile per il Paese, anche se nel breve periodo possono portare voti perché dai la possibilità a chi non aveva una sussistenza di ottenere 700 euro al mese o di andare in pensione a 62 anni pur con la pensione tagliata. Sembrano più manovre elettorali che strutturali. Non erano le manovre da fare per risollevare le sorti del Paese».

Quali sarebbero state le politiche migliori, secondo lei?

«La riduzione del cuneo fiscale per abbassare le tasse sul lavoro e, soprattutto, portare a compimento l'autonomia. Sono convinto che ridare slancio alle Regioni traino del Paese avrebbe fatto ripartire il "volano" dell'economia anche verso le Regioni del Sud. Negli ultimi mesi ero rimasto una delle pochissime figure di rilievo a Milano a tenere questa impostazione. Un gruppo di persone ha fondato il "Comitato 22 ottobre", la data del referendum, e con questo comitato, di cui fanno parte anche ex parlamentari, faremo pressione su chi può ancora incidere sull'autonomia».

Quali risultati si attende?

«L'alleanza di governo tra Lega e Movimento 5 Stelle non facilita le cose. E gli stessi ministri leghisti ormai parlano di autonomia "a saldo zero per lo Stato", cioè fortemente depotenziata, quando sussistono decine di miliardi di imposte "regalate" al Sud senza tra l'altro che questo produca effetti positivi nell'economia dello stesso Sud. E' comunque paradossale che l'unico risultato sull'autonomia sia finora arrivato dalla riforma costituzionale del centrosinistra».

Uno dei capisaldi del successo elettorale della Lega di Salvini è il tema dell'immigrazione e dei migranti. Che cosa ne pensa?

«L'immigrazione va controllata e gestita ma viene usata come un grande e continuo spot elettorale. Chiudere i porti e stringere le maglie non risolverà affatto i problemi del Paese».

Quali spazi sussistono, in Lega, per chi è affezionato alla linea "antica"?

«Direi nessuno, perché con il nuovo partito, Lega Salvini Premier, chi si iscrive ne accetta statuto e linea politica. Servirebbe, come ebbe a dire l'ex governatore lombardo Roberto Maroni, un nuovo partito che difenda le ragioni del Nord, perché sovranismo e autonomia sono questioni antitetiche».

In passato Maroni ha più volte espresso posizioni diverse da Salvini. E abbiamo citato Fava, ex assessore regionale. Loro non rischiano di essere "cacciati"?

«A mio parere sono "too big to fail", troppo importanti per cadere. Se venissero espulsi Maroni e/o Fava, si genererebbe una sommossa popolare all'interno del partito».

Al di là della linea, che cosa avrebbe voluto vedere nella Lega, che è mancato in questi anni?

«Avrei voluto che fosse permessa una "corrente" per continuare a dire la nostra. Come del resto da statuto del partito. Che si sarebbe in ogni caso giovato di un apporto di persone che, invece, sono state espulse o sono uscite. Ma soprattutto avrei voluto vedere un trattamento diverso nei confronti di persone innocue, anziane, malate, che sono state declassate senza bisogno, solo per "dare l'esempio". Questo non fa parte del mio Dna politico. In un caso, un ultra ottantenne ha ricevuto, dopo un ricorso, la raccomandata di reintegro a militante tre giorni dopo essere morto».

Se si votasse ora per le politiche, lei che cosa farebbe?

«Probabilmente andrei al mare o in montagna».

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