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Elezioni comunali 2016

Cinesi e primarie: fare "comunità" non è peccato

La polemica sui cinesi in coda ai seggi delle primarie di centrosinistra per votare Sala. Ma di "comunità" e "appartenenza", la politica è piena. Da sempre

Primarie di Milano: nel centrosinistra si litiga anche "in extremis". Motivo del contendere, le presunte "truppe cammellate" di cittadini cinesi che si precipitano nei seggi a votare per Giuseppe Sala. Premessa: lo schieramento di centrosinistra ha deciso (e non è stata la prima volta) di consentire il voto alle primarie anche agli stranieri regolarmente residenti in città. Se extracomunitari, devono dimostrare di essere in regola col permesso di soggiorno. Una scelta coerente con l'idea, più generale, che gli stranieri possano votare almeno alle elezioni comunali: cosa, questa, che per ora è permessa solo agli stranieri dell'Ue (purché si registrino all'anagrafe elettorale del comune). 

Una scelta, diremmo, "di sinistra". Poi, però, accade che alcuni "leader" della comunità cinese annuncino il voto a favore di Sala. Tanto basta ad alcuni - della cui identità di sinistra e antidiscriminatoria verso gli immigrati non c'è da dubitare - per non mascherare affatto il proprio nervosismo, sui social network e altrove. A parole tutti precisano: nulla contro i cinesi che votano (e ci mancherebbe: il regolamento dice che possono), ma no alle «code di comunità». Che significa: no alle truppe cammellate. No agli accordi "in blocco".

Perché il tema (e il timore) che serpeggia è questo: che si sia creata una lobby. Ora, quanti cinesi effettivamente avranno votato alle primarie (e quanti di altre nazionalità) lo sapremo con precisione domenica notte, forse lunedì 8 febbraio, con i risultati complessivi. Inutile supporre ora (domenica mattina). Ma una cosa sorprende: che militanti politici non certo dell'ultima ora si scandalizzino per le «code di comunità», che invece nella pratica democratica del voto sono sempre esistite.

La fiducia per un candidato alle elezioni passa invece, quasi sempre, proprio per l'appartenenza allo stesso gruppo. Anche per queste stesse primarie, per dire, il Codacons (ufficialmente una associazione di consumatori) si è esposto a favore di Francesca Balzani. E nessuno gli ha contestato questo diritto. Ma il Codacons ha parlato (ed è stato ripreso dai mass media) in quanto "gruppo", "comunità". Come a dire: se sei un consumatore attento ai propri diritti, vota Balzani. Il messaggio è questo. Poi, chiaro, occorrerà vedere quanti lo raccolgono. Ma di comunità in senso lato, che condizionano (legittimamente e legalmente) le elezioni, ne esistono tante e di tanti tipi.

Per ogni elezione amministrativa di Milano, si potrebbe - soltanto a partire dai risultati sezione per sezione - scrivere un (lungo) elenco di consiglieri eletti poco "comunali", ovvero che prendono voti in poche e circoscritte aree di città e sono praticamente sconosciuti altrove. E' il «ti voto perché ti conosco bene», quando non «ti voto perché hai lavorato per riparare la nostra scuola, riasfaltare la nostra via, mettere un vigile in più nella nostra piazza». Oppure, perché no?, «ti voto perché ti incontro al bar ogni mattina per il caffè». Il consiglio comunale di Milano è pieno di questi "consiglieri poco comunali", capaci di prendere mille voti nella propria zona di residenza e cinquecento in tutto il resto della città. C'è qualcosa di male? Nient'affatto: è l'anima della democrazia. Ma anche della comunità. In definitiva, questo voto è il voto di appartenenza allo stesso quartiere. L'eletto diventa punto di riferimento degli abitanti di quella parte di Milano, ed è tutto lecito e normale.

Ancora: quanti consiglieri comunali hanno alle spalle un gruppo trasversale ai quartieri? Si potrebbe facilmente individuare chi gode dell'appoggio di molti cittadini che frequentano quell'ambiente ecclesiastico (chi la Caritas, chi Comunione e liberazione, chi l'Opus Dei), oppure chi è molto conosciuto nell'ambito delle cooperative edili (e praticamente sconosciuto al di fuori di esse), o anche chi gode della simpatia di un grande numero di taxisti. E chi "pesca" nel mondo del teatro, che a Milano non è certo fatto da quattro gatti. La stessa cosa per quei consiglieri comunali che hanno "presa" tra i centri sociali, oppure presso gli ultras di Milan e Inter.

Finora li abbiamo chiamati gruppi, ma hanno tutte le caratteristiche delle comunità: ovvero con forti tratti condivisi all'interno (talvolta veri e propri sistemi di valori), che generalmente sono più importanti dei fattori divisivi. Contesti in cui le relazioni diventano amicali e il senso d'appartenenza è quasi sempre vissuto come un punto di forza.

Non bastano? Che dire, allora, delle comunità geografiche? Senza arrivare al caso di Reggio Emilia, città con circa 10 mila persone originarie di Cutro, che ha visto politici locali recarsi fino in Calabria durante le campagne elettorali, anche a Milano - città di immigrazione dal sud ormai storica - sono in molti a cercare il consenso tra i propri corregionali. Diverse volte sono stati eletti consiglieri comunali di origini pugliesi, campane, siciliane con i voti - prevalentemente - dei milanesi originari delle loro stesse aree del sud.

E' la democrazia: voto per chi conosco, per chi frequenta il mio stesso gruppo parrocchiale, per chi ha il mio stesso hobby o lavoro, per chi da bambino parlava il mio stesso dialetto. Tutte "comunità" che vengono regolarmente messe in conto e accettate, ad ogni elezione. Stando attenti, semmai, che non siano comunità illegali, come quella di un gruppo malavitoso, di un'associazione a delinquere, di una mafia. Poi arrivano i cinesi alle primarie e si grida allo scandalo. Anziché applaudire al desiderio di partecipazione, preludio di una (futura) legge che consenta loro (e altri) di votare alle vere elezioni, cosa che almeno a sinistra ci si aspetterebbe, ecco i sospetti («accordi sottobanco»), le polemiche. 

La novità, semmai, è che alcuni membri di una comunità abbiano accettato una proposta politica, cosa nient'affatto scontata. E quanto ai contenuti della proposta, si potrebbe certo chiedere a Sala di renderla pubblica; ma noi conosciamo le proposte dei candidati pugliesi ai cittadini d'origine pugliese, oppure dei candidati taxisti ai colleghi taxisti, o ancora dei candidati "di quartiere", di cui si diceva prima, ai loro vicini di casa? No.

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