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Fini: “Integrare i regolari non vuol dire avvallare la criminalità”

Il presidente della Camera Fini era ieri pomeriggio alla Festa della Libertà. Un intervento a tutto campo sulla crisi, i salari, ma soprattutto sul tema dell’immigrazione: “integrare gli immigrati regolari non vuol dire abbandonare il rigore contro la criminalità”

hpim2357Dibattito sulla Crisi economica, ieri pomeriggio, alla Festa del Pdl: hanno partecipato Gianfranco Fini, Giulio Tremonti, Enrico Letta del PD, Raffaele Bonanni e Alberto Bombassei, moderati da Gianni Riotta.

Il presidente della Camera, nel suo ruolo istituzionale, ha preferito non giudicare il comportamento di maggioranza e opposizione nella gestione della crisi; riprendendo però il parere della comunità internazionale, secondo cui il picco della crisi sarebbe alle spalle, si è chiesto se in Italia  sia stato fatto tutto il possibile per intercettare la ripresa.

Ha cosi ricordato la necessità di operare interventi di interesse nazionale per il Sistema Italia, dotato di un’organizzazione istituzionale obsoleta, incentrata su un bicameralismo lento nel varare riforme, povero di investimenti in università e ricerca, troppo diviso in Nord e Sud. Fini ha poi bocciato le cosiddette “gabbie salariali”, indicando la via migliore nei salari legati alla produttività.

Interessante poi la sua riflessione sul tema immigrazione: l’Italia è innanzitutto degli Italiani, ma si può pensare che sia anche di tutti coloro che la amano e che la considerano come la propria Patria; oggi la cittadinanza viene acquisita dopo una decina di anni da parte di immigrati che regolarmente soggiornano nel nostro Paese, tramite una mera procedura burocratica. Si potrebbe dunque abbassare la soglia a 5 o 7 anni, comprendendo i figli degli immigrati che completano un ciclo scolastico di 5 anni nelle nostre scuole prima dei 18 anni, legando però l’acquisizione della cittadinanza ad alcuni requisiti non richiesti dalla procedura attuale: amare l’Italia, secondo  Fini, vuol dire dimostrare di saper parlare l’Italiano, di sapere la storia e la geografia del Paese, vuol dire giurare fedeltà alla Costituzione e servire con le armi la Patria.

Bisogna dunque integrare gli immigrati regolari, senza pensare che ciò sia un negare il rigore contro la criminalità. Contestato da una signora nella platea, Fini fa l’esempio di un giocatore di colore che veste la maglia della nostra nazionale e canta il nostro inno, e che non può essere considerato italiano solo se permette alla squadra di conquistare qualche trofeo in più.

Il ministro dell’economia Giulio Tremonti ha risposto a Fini, sottolineandone la posizione generosa e coraggiosa sul tema immigrazione, ma bocciandone, di fatto, la proposta: secondo il ministro infatti è strategico il fattore tempo, perché una cosa giusta fatta nel momento sbagliato può rendere tale cosa sbagliata; dunque bisogna discuterne, non dimenticando l’esempio dell’Olanda che si trova di fronte ad una perdita dell’identità nazionale.

Intervenendo sul tema crisi ha detto che la catastrofe globale è stata evitata ma che ci troviamo di fronte a scenari futuri sconosciuti: l’Italia si trova in una posizione migliore rispetto ad altri paesi, perché dotata di punti di forza quali l’industria manifatturiera, capace di guadagnare quote di mercato fino all’avvento della crisi, e la tendenza del cittadino a risparmiare. Ha infine detto che la domanda per la cassa integrazione sta lentamente calando, ma ha posto l’attenzione sul grave problema della cosiddetta “questione meridionale”: l’Italia sempre più si sta dividendo in un Centro Nord con livelli di ricchezza, produzione e ricerca tra i più alti d’Europa, e in un Centro Sud sempre più distante, e per questo bisogna intervenire con decisione.

Enrico Letta ha soprattutto invitato il governo a scongiurare la chiusura delle piccole e medie imprese, intervenendo con riforme sul sistema fiscale, che penalizza l’attività d’impresa e favorisce le rendite finanziarie, e sugli ammortizzatori sociali. Ha poi condiviso la posizione di Fini, ma ha anche invitato il governo a istituire una nuova forma di welfare che consideri maggiormente le donne, eroine moderne, capaci di gestire figli, lavoro e casa, ma poco aiutate dallo Stato.

Bonanni ha rivendicato la conquista degli 8 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali, ma ha invitato il governo a investire in energie rinnovabili, ricerca e istruzione, ipotizzando inoltre un nuovo scenario oltre la crisi, in cui i lavoratori siano azionisti delle imprese in cui lavorano; ha inoltre ricordato la necessità di abbassare le aliquote sul lavoro dipendente e le pensioni e di alzare quelle sui redditi medio-alti.

Bombassei, infine, ha evidenziato la solidità del nostro sistema di difesa sociale che ha retto alla crisi e ha detto che, considerando la creazione negli ultimi dieci anni di 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro, la perdita, con la crisi, di 500-700 mila posti non è un disastro totale.

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