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Aree dismesse, l'affondo del Pd alla vigilia della legge in Regione

Con le nuove norme aumenterebbero i ricorsi e i Comuni sarebbero spogliati della prerogativa del governo del territorio

Una rigenerazione urbana che rischia di diventare il contrario. La legge regionale in via di approvazione il 12 novembre (che trova il centrodestra compatto) viene fortemente contestata da Matteo Piloni e Carmela Rozza, consiglieri del Partito Democratico, secondo cui le nuove norme avranno un impatto pesantissimo proprio sulla tutela del territorio, sul recupero delle aree abbandonate, sulle bonifiche e perfino sulle aree (e attività) agricole. 

La legge consentirà una deroga alle programmazioni urbanistiche comunali (effettuate attraverso i Piani di governo del territorio) su tutto il territorio regionale, non distinguendo quindi tra i Comuni con aree dismesse (il 42,9% del totale dei Comuni lombardi, tra l'altro) e quelli senza. La "rigenerazione", intesa come recupero, si potrà applicare ovunque («e un operatore immobiliare, basandosi sul mercato, opterà ovviamente per quelle zone più appetibili», fa notare la Rozza) togliendo ai Comuni il controllo sulle politiche urbanistiche in tal senso. Perché gli enti locali territoriali non potranno più decidere quasi nulla. Le aree dismesse sono ben 3.400 in tutta la Lombardia, secondo una indagine del Politecnico aggiornata a qualche settimana fa, mentre la Regione, con dati vecchi di quasi dieci anni, ne stima circa 2.300.

Un altro passaggio della nuova legge, se confermato dal voto in consiglio, farà sì che vengano diminuiti gli oneri di urbanizzazione per chi "rigenera" aree di qualunque tipo e ovunque si trovino, fino al 60%. In parallelo saranno aumentati del 20% gli indici volumetrici comunali. Questi parametri saranno ancora una volta applicati su tutto il territorio comunale, senza distinzione tra aree e aree e quindi senza possibilità per il Comune di individuare una priorità (la rigenerazione, in fondo, non è solo una questione urbanistica ma anche sociale). Il Comune, è vero, potrà escludere una parte del suo territorio per evitare, magari, che un operatore possa concentrarsi su aree di pregio anche se con palazzi da riqualificare, ma dovrà motivare l'esclusione e questo porterebbe, potenzialmente, a conflittualità, ricorsi, procedimenti al Tar. 

Rischio di continui ricorsi

Ed è evidente che esporsi a un ricorso è l'esatto contrario di quello che servirebbe agli stessi operatori immobiliari interessati a investire nella rigenerazione, urbana e non. E sulle aree agricole c'è un possibile ulteriore "vulnus": si consente, dopo tre anni di abbandono, di "rigenerare" con un cambio di destinazione d'uso gli immobili rurali. E poiché è del tutto evidente che un investimento immobiliare che modifichi l'utilizzo di un'area da agricola a non agricola aumenterebbe il valore della stessa, questo produrrebbe la "convenienza" ad abbandonare gli edifici agricoli (cascine, rustici e altro) in favore della futura "rigenerazione". Così perdendo potenziali territori e produzioni agricole.

Quali allora le controproposte che il Pd cercherà di inserire, con emendamenti, per "mitigare" gli effetti di questa legge? Anzitutto restituire ai Comuni la facoltà di scegliere se un'area va rigenerata oppure no. Niente più deroge totali. Anche perché c'è il rischio che vengaono cementificate aree (ora agricole, per esempio) all'interno di parchi regionali. E' vero che, in questo caso, l'ente parco avrebbe l'ultima parola, ma si potrebbero aprire spazi (anche qui) per ricorsi vari. 

Ed infine un capitolo sulle bonifiche. Le aree da bonificare sono 914 in tutta la Regione, di cui 188 solo nella città di Milano. «La legge in discussione non affronta il tema, non risponde alla necessità di affrontare i siti contaminati e praticamente non mette risorse», affermano Piloni e la Rozza. Inutile dire che la proposta del Pd va in direzione contraria e chiede che le aree da bonificare siano trattate in modo prioritario, con opportune risorse per sostenerne il recupero.

«Mani legate ai Comuni»

«La rigenerazione - spiegano Piloni e Rozza - va fatta dando in mano ai Comuni strumenti per incentivare proprietari e costruttori laddove effettivamente serve. Con questa legge, invece, verranno legate le mani ai Comuni sul governo dell’urbanistica, perché non potranno efficacemente incidere sulle aree che sono davvero da rigenerare mentre vedranno crescere le volumetrie nelle aree già sane dove sono più alti i prezzi di mercato. Non solo, i Comuni vedranno diminuire in modo indiscriminato gli introiti da oneri di urbanizzazione, con l’effetto secondario che saranno indotti ad alzarli. Potranno escludere alcune aree dagli effetti della legge, esponendosi però a ricorsi. Cittadini, amministrazioni e operatori vengono messi in conflitto e questo genererà complicazioni per tutti. Ancora di più se di mezzo ci fosse un parco, perché ciò che sta bene al Comune potrebbe non stare bene all’ente e le complicazioni aumenterebbero a dismisura».

«Sono 9 mila - continuano - le aziende agricole lombarde che vengono gestite non dal proprietario, che spesso è un ente come il Policlinico di Milano o il Pio Albergo Trivulzio, e date in affitto a chi lavora la terra. Tutte queste aziende vengono messe a rischio. Basterà, infatti, che il proprietario le lasci sfitte per tre anni per poter poi riconvertire i fabbricati a qualsiasi scopo, anche il residenziale. Uno scenario appetibile per i proprietari di questi immobili, ma una vera minaccia all’attività agricola lombarda. Questa norma va stralciata e il recupero dei fabbricati agricoli deve avere una normativa apposita, che punti sulla salvaguardia dell’attività agricola».

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