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Saluto romano, la Cassazione assolve due militanti di CasaPound

L'episodio risale al 2014, al corteo per Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani

Fecero sì il saluto romano ma soltanto con intento commemorativo e perciò non hanno violato la Legge Scelba. Così la Corte di Cassazione motiva l'assoluzione definitiva per Marco Clemente e Matteo Ardolino, ora militanti di CasaPound, circa i fatti di aprile 2014 quando i due (insieme anche ad altri "camerati") risposero col saluto romano al "presente" chiamato per i tre uccisi in diversi momenti storici, in piazzale Susa, prima del corteo verso il luogo in cui venne aggredito Ramelli in via Amadeo, a Milano. 

Ramelli: il corteo del 2014 © Melley/MilanoToday

Clemente e Ardolino erano stati assolti anche dal gup in primo grado (difesi in quell'occasione dall'esponente di Fratelli d'Italia Ignazio La Russa, avvocato) e dalla Corte d'Appello. Il procuratore generale aveva intentato il ricorso, ora respinto dalla Cassazione, facendo tra l'altro leva sul fatto che la manifestazione era stata vietata dalla questura ma poi (ugualmente effettuata) non era stata sciolta per motivi di ordine pubblico. Ciò però non basta alla Cassazione per ritenere che i manifestanti, facendo il saluto romano, avessero intenzione di esprimere l'incitamento a ricostituire il partito fascista. 

Video: il saluto romano per Sergio Ramelli nel 2014

I giudici di legittimità ritengono, come quelli di primo e secondo grado, che la Legge Scelba non punisca «tutte le manifestazioni usuali del disciolto partito fascista», bensì solo quelle che «possono determinare il pericolo di ricostituzione di organizzazioni fasciste in relazione al momento e all'ambiente in cui sono compiute», e tra queste non rientrerebbe la manifestazione dell'aprile del 2014, organizzata e svolta secondo una «natura puramente commemorativa della manifestazione e del corteo, organizzati in onore di tre defunti, vittime di una violenta lotta politica che ha attraversato diverse fasi storiche».

Prova della natura esclusivamente commemorativa, secondo quanto scrive la Cassazione, sarebbero «le modalità ordinate e rispettose del corteo, svoltosi in assoluto silenzio, senza inni, canti o slogan evocativi dell'ideologia fascista, senza comportamenti aggressivi, minacciosi o violenti nei confronti dei presenti, senza armi o altri strumenti». Altri casi sono finiti con una condanna: «Il caso di chi intona "all'armi siam fascisti", inno considerato come professione di fede ed incitamento alla violenza; il caso di chi compie il saluto romano armato di manganello durante un comizio elettorale; il caso di coloro che dopo la lettura della sentenza compiono il saluto romano e gridano più volte la parola "sieg heil"».

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