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Sanzioni alla Russia: "Vanno tolte al più presto". Tra crisi e opportunità

Il convegno dell'eurodeputato forzista Stefano Maullu, schierato contro le sanzioni. L'analisi della strategia russa: "Aprirsi agli investimenti e chiudersi al commercio"

Il dibattito sulle sanzioni alla Russia, decise nel 2014 a livello internazionale per la violazione di trattati dovuta all'annessione della Crimea, e a cui sono seguite le controsanzioni russe che hanno bloccato l'import verso la Federazione di diverse categorie merceologiche provenienti dall'Europa, è da sempre intenso, tra chi le sostiene per ragioni geopolitiche (di fatto, per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sono stati cambiati i confini europei con decisione non concordata con il Paese che ha perso un suo territorio), e chi invece preferisce evidenziare le conseguenze economiche sulla bilancia commerciale. 

Tra questi ultimi Stefano Maullu, parlamentare europeo di Forza Italia, promotore di una iniziativa a Bruxelles insieme alla collega francese Rachida Dati e, venerdì 20 gennaio, di un convegno al Pirellone sull'argomento. «Le sanzioni - dichiara Maullu - si sono rivelate una scelta autolesionista e priva di qualunque riscontro pratico. L'Ucraina non ha risolto alcun problema interno e le nostre imprese soffrono e pagano». E per Marco Tizzoni, esponente della Lista Maroni in regione e tra i promotori di una mozione per chiedere che la Lombardia riconosca l'annessione della Crimea, due sono le ragioni per superare le sanzioni: «La necessità di internazionalizzazione delle imprese, senza cui l'Italia e la Lombardia andranno in crisi, e l'amore, l'affinità e l'amicizia che da sempre legano i due popoli».

Oltre alla "triangolazione" passando per la Bielorussia, attualmente il modo più pratico per aggirare le sanzioni è trasferire le produzioni direttamente in Russia. «Ma noi non faremo mai le scarpe in Russia», ha spiegato Tommaso Cancellara di Assocalzaturifici sottolineando che l'Italia è il primo Paese al mondo per valore delle scarpe prodotte e ha una quota del 60% sulle scarpe di lusso nel mondo. Se in generale può funzionare la strategia "Made with Italy" in sostituzione di "Made in Italy", che non vale solo per la Russia (come ha illustrato Marinella Loddo dell'Agenzia Ice per l'internazionalizzazione) ma per tutti i contesti in cui esportare non è possibile, per Cancellara questo non può valere per un prodotto - come le scarpe di lusso - che "o è italiano o non è". 

E così le scarpe italiane esportate in Russia sono state 4 miloni e 548 mila nel 2015 contro gli 8 milioni e139 mila del 2013, "record" degli ultimi quindici anni. Nel 2000 erano state infatti 4 milioni e 973 mila. Le esportazioni avevano subìto un altro contraccolpo nel 2009, per poi risalire di nuovo. Dal 2014 al 2015 si è visto un calo netto, a cui però è seguito un dato in risalita nel primo semestre 2016 rispetto al precedente primo semestre: da 2 milioni e 274 mila a 2 milioni e 488 mila, pur con un abbassamento del prezzo medio e del valore complessivo dell'export. Lo stesso effetto (calo fino al 2015 e risalita nel primo semestre 2016) si riscontra, per le scarpe, anche verso altri Paesi dell'est, primo tra tutti l'Ucraina (+44,9% di quantità, +21% di valore). Moderata, sulle sanzioni, la posizione di Cancellara: «La crisi del nostro export è dovuta anche alla crisi del rublo. Ma, visto che le sanzioni hanno fatto danni, togliamole».

Le sanzioni europee, è bene dirlo, non colpiscono l'export direttamente, se non per settori molto particolari (le armi). Tuttavia la Russia ha sempre dichiarato che toglierà le sue controsanzioni (che invece colpiscono la generalità di diversi settori, e non pochi si sono chiesti il perché di questa evidente discrasia) soltanto dopo il "primo passo" di chi le ha poste per prima. Un concetto ribadito, al convegno, dal vice console russo a Milano, Platon Ratskevich.

Più duro di Cancellara, sulle sanzioni ma anche sulle scelte di politica estera, è stato Ettore Prandini, leader di Coldiretti, che senza mezzi termini ha auspicato, per il futuro, l'ipotesi «che la Russia entri nel contesto europeo per dare più forza all'Europa stessa». Prandini ha evidenziato che - a suo dire a causa delle sanzioni - hanno subìto contraccolpi anche settori non colpiti dall'embargo russo, come il vino; e che l'agro-alimentare lombardo è crollato del 57% tra il 2013 (pre-embargo) e il 2016, ma in generale, verso molti altri Paesi, è cresciuto, dimostrando vitalità: «Ci chiediamo quanto saremmo potuti crescere senza l'embargo», ha affermato.

Parallelo alla perdita di quote di mercato è stato l'ingresso, nei supermercati russi, di prodotti che richiamano l'italianità senza averla. «Quando saranno state tolte le sanzioni - ha spiegato Prandini - sarà un processo lungo riabituare i consumatori russi ai nostri prodotti». Questo vale, per esempio, per i formaggi, come ha poi richiamato Paolo Zanetti, imprenditore del settore («la mia azienda era molto esposta con la Russia nel 2014», ha affermato). E' appena il caso di ricordare che addirittura la Russia espose formaggi richiamanti l'italianità nel suo padiglione di Expo 2015 a Milano

Ma allora è davvero impossibile, o quasi, "fare impresa" nel contesto di sanzioni e controsanzioni? Non è detto. Massimo Manelli, vice direttore generale di Assolombarda Confindustria Milano Monza-Brianza, ha fatto notare che in Russia è in atto un «piano di industrializzazione indipendente dalle sanzioni» strategico per sostituire l'importazione dall'estero e che, nel medio-lungo termine, «bisogna essere lì». Non solo, ma alcuni settori sono particolarmente promettenti. Tra questi la meccanica, l'energia (la Russia, pur essendo tra i principali produttori di petrolio e gas, cercherà come tutto il resto del Pianeta di guardare anche alle rinnovabili), i trasporti (per esempio i piani su ferrovie e strade). Inoltre vi sono alcune "zone speciali", regioni in cui il governo ha reso più semplice investire dall'estero con defiscalizzazioni e sburocratizzazioni. «Tutti attendiamo la fine delle sanzioni», ha concluso Manelli, «ma bisogna assecondare il mercato che cambia e che ora favorisce la radicalizzazione in loco».

D'altra parte il governo russo, già nel 2011-2012, aveva stabilito un cambio di strategia a sfavore dell'importazione dall'estero dei prodotti e favorendo invece la reindustrializzazione della Federazione, come ha evidenziato Fabrizio Zucca della società di consulenza Ssc, per il quale «è fuorviante pensare che togliere le sanzioni risolva tutto». Zucca ha ricordato che il crollo verticale del prezzo del petrolio, conseguente ad una strategia dell'Arabia Saudita, ha accelerato semmai un'impostazione già decisa prima dell'annessione della Crimea e delle sanzioni e controsanzioni. La Russia si è impoverita e, con il crollo del Pil pro capite e dei salari, i prodotti italiani, anche quelli non sanzionati, sono diventati troppo cari per i consumatori russi. Secondo Zucca, «è un peccato perdere il 'treno' dell'apertura agli investimenti dall'estero», ad esempio nei settori delle strade e delle ferrovie (per i quali la Russia è il primo Paese con progetti per 350 miliardi di euro) ma anche le energie rinnovabili. «Le sanzioni - ha concluso Zucca - hanno creato dei limiti, ma mi concentrerei su come è possibile creare una opportunità economica in Russia. Un Paese che va affrontato sempre più con un forte radicamento nel territorio».

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