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Dj Fabo e aiuto al suicidio, la Consulta "assolve" Cappato

Il leader radicale rischiava fino a 12 anni di reclusione, ma per la Consulta l'aiuto al suicidio in questo caso non è reato. Lui: «Sentenza storica, ora siamo tutti più liberi»

La Corte Costituzionale ha dato ragione a Marco Cappato: il leader radicale non commise reato aiutando dj Fabo, divenuto cieco e tetraplegico in seguito a un incidente stradale, a togliersi la vita a 39 anni in una clinica svizzera specializzata, accompagnandolo in auto oltreconfine. I giudici della Consulta, dopo le otto di sera di mercoledì, hanno emesso la sentenza stabilendo la non legittimità costituzionale dell'articolo 580 del codice penale, sollevata dalla corte d'assise di Milano, ritenendo non punibile chi "agevola l'esecuzione del proposito di suicidio", anche se ad alcune condizioni.

Il proposito di suicidio deve essersi formato autonomamente e liberamente nel paziente, che sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche ritenute da lui intollerabili, tenuto in vita da "trattamenti di sostegno vitale" ma "pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli". Il caso, appunto, di Dj Fabo, il milanese Fabiano Antoniani che, nel mese di febbraio del 2017, decise di porre fine alla sua vita.

Video inedito: le sofferenze di Fabo

La sentenza è arrivata dopo undici mesi. I giudici avevano dato tempo al Parlamento di legiferare, valutando che nell'interpretazione dell'articolo 580 vi fosse un "vuoto normativo"; il Parlamento non solo non ha legiferato in tutti questi mesi, nonostante fossero depositate diverse proposte di legge in tal senso; ma negli ultimi giorni precedenti alla nuova udienza, fissata per martedì 24, alla Consulta erano giunte "pressioni informali" affinché rimandasse la stessa; pressioni che, ovviamente, non avrebbero potuto sortire alcun effetto. La Consulta precisa comunque che è bene che il Parlamento prima o poi vari una legge per ordinare appieno la materia.

Cappato: «Da oggi tutti più liberi»

«Da oggi siamo tutti più liberi, anche chi non è d'accordo. Aiutare Dj Fabo per me era un dovere. La Consulta finalmente ha stabilito fosse un suo diritto. È una vittoria della disobbedienza civile, mentre i partiti giravano la testa dall'altra parte. Grazie grazie a tutti», il commento a caldo di Marco Cappato, a Roma insieme all'avvocato Filomena Gallo, entrambi leader dell'Associazione che porta il nome di Luca Coscioni, e a Valeria Imbrogno, la compagna di Fabo.

Il caso "esplose" a febbraio 2017 quando Cappato accompagnò in Svizzera Fabiano Antoniani e poi, al ritorno a Milano, si costituì in caserma dei carabinieri compiendo una azione di disobbedienza civile. In precedenza il dj milanese aveva rivolto diversi video-appelli al mondo politico affinché si occupasse del fine vita. Cappato venne indagato anche se la procura di Milano, fin da subito, ritenne che il caso fosse da archiviare: ma il gip ordinò l'imputazione coatta e il leader radicale andò a processo.

Il rinvio alla Consulta

La pm Tiziana Siciliano chiese, coerentemente con l'impostazione iniziale della procura, l'assoluzione per Cappato; la corte d'assise di Milano decise il rinvio degli atti alla Corte Costituzionale perché sentenziasse sulla costituzionalità del reato di aiuto al suicidio, sospendendo dunque il processo milanese. Nella sentenza di rinvio, tra l'altro, si leggeva che all'individuo va riconosciuta «la libertà di decidere come e quando morire» in forza di principi costituzionali. E, a ottobre 2018, la Consulta invitò il Parlamento a un intervento legislativo affermando che «situazioni meritevoli di protezione sono oggi senza tutela», rinviando una sua decisione al 24 settembre 2019. Undici mesi di tempo, undici mesi di totale inerzia parlamentare. E ora la storica sentenza.

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