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Scudetto Milan: il "backstage" di una stagione esaltante

Dentro all'avventura scudetto dei rossoneri per raccontare un po' di tutto riguardo al 18esimo titolo della storia rossonera

A parlare facile si potrebbe parlare di trionfo del singolo, tirando in ballo un rigore concesso, un errore dell’avversario o le prodezze dell’uomo più ingombrante e decisivo sottoporta, Zlatan Ibrahimovic, ma almeno per questa volta non è affatto così, nel diociottesimo scudetto rossonero, c’è tanto lavoro di cooperativa. E guarda caso, nel Milan di Berlusconi al timone c’è un Livornese moderatamente di sinistra in una delle città più ricche di cooperative, quindi è un concetto ben chiaro e visibile nella mentalità del tecnico ex di Cagliari e Sassuolo.

FRESCHI, VOGLIOSI, AFFAMATI E UMILI - Quello del mettersi a disposizione del gruppo, di sudare e correre professionalmente senza eccessivi personalismi, di essere freschi, vogliosi, affamati ed umili. A me appare come uno scudetto, nuovo, diverso, forse imprevisto, forse non abbacinante come lo scudetto dell’ultimo Mourinho nerazzurro, ma non per questo meno bello, anzi. C’è stato un punto, poco prima del derby e con la sosta per le gare della nazionale in atto, dove il Milan sembrava sempre più imperfetto e l’Inter o il Napoli sempre più pronte a sopravanzare i ragazzi rossoneri. Ma così non è stato, perché il ricambio di pelle è stato sì evidente e consistente, soprattutto con i ritocchi del mercato invernale, ma lo stile e la mentalità data da campioni che conoscono da anni l’ambiente, come Ambrosini, Seedorf, Nesta e Gattuso, oltre a un leggendario Thiago Emiliano da Silva, hanno impastato di grinta il rush finale del Milan fino a renderlo irresistibile.

LA BRILLANTEZZA - Nel momento cruciale, il Milan ha trovato brillantezza fisica e mentale propria di chi ci è già passato, per questi momenti dove o vinci o sei fuori, battendo in 4 confronti su 4, a conti fatti, sia la seconda che la terza in classifica, Inter e Napoli. E battendoli bene, sonoramente, senza se e senza ma, con la miglior difesa del campionato ed un attacco flessibile ed atomico che non ha ceduto neppure dinanzi alla doppia assenza di Ibra e Pato, con un Cassano tuttora non ben inserito e un Robinho che ha divorato palle gol in serie pur arrivando in doppia cifra e col peggior Pirlo di sempre. Segno che c’era il gioco, c’era la voglia di vincere e la cosapevolezza di poterlo fare, vista la concorrenza.

IL FUTURO - Un Milan che andrà rinforzato in difesa, con Mexès già preso a parametro zero, specialità in cui al Milan sono maestri, si veda Cassano e Van Bommel per ultimi, o lo stesso Taye Taiwo dal Marsiglia per la fascia mancina difensiva. E andrà preso una credibile controfigura di un Ibra quest’anno importante all’inizio nel tenere su una squadra in costruzione, ma mai davvero devastante dall’ultimo gol a Catania in poi. Lui paradossalmente mi sembra quello che è cresciuto meno dall’inizio del 2011, con oltre un mese e mezzo di squalifiche sul groppone, eccessi verbali e fisici, zero gol su azione dopo quello del Massimino e il cronico limite della Champions da vincere da campione. Smentita la teoria dell’Ibradipendenza, resta da rinforzare un po’ dovunque la squadra, senza smantellarla e trattenendo a forza i migliori e anche chi ha mostrato di essere l’anima del gruppo, Seedorf su tutti, apprezzando la crescita di giocatori nuovi come Abate e Boateng, che come lavoro personale sono arrivati laddove nessuno pronosticava neppure nei sogni, diventando delle certezze assolute nei rispettivi ruoli (e il ghanese è anche stato fuori per infortunio per ben 2 mesi dopo il gol al Bologna del 12 dicembre, ovvero nel suo momento migliore).

INIZIA UN NUOVO CICLO? - Come a dire, Milan scudettato, ma sembra, davvero, soltanto l’inizio di un nuovo ciclo di importanti vittorie per un gruppo, una dirigenza e un tecnico affamati come mai nell’ultimo decennio. Nelle euforiche dichiarazioni postgara, da Ibrahimovic che prima fa festa dando una gomitata a Cassano e poi dice “E’ stupendo, resterò qua a lungo”, a Gattuso che reagisce dicendo che è assurdo e gode da pazzi perché “Mi davano per morto”, al primo scudetto di Ambrosini conquistato con la fascia da capitano in campo dopo l’ennesima stagione massacrata dagli inforuni, è tutto bellissimo, e forse irripetibile. Anche il bacio di Pato a Barbara, dà l’idea della commistione tra stato maggiore e squadra, che probabilmente ha fatto la differenza, regalando qualcosa di anomalo ma certamente uno scudetto che ritornerà a campeggiare sulle divise della società di Via Turati dopo 7 lunghi, troppo lunghi, campionati infausti.

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