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Milan, da dove arrivano i soldi di Yonghong Li? La sua 'unica' azienda è in fallimento per debiti

Shenzhen Jie Ande, unica proprietà di Li, è all'asta per insolvenza. L'inchiesta del Corriere

Tra il gennaio del 2015 e il febbraio del 2017 avrebbe dato in pegno il suo bene più "forte" - almeno tra quelli dichiarati - e lo avrebbe perso per mano di un tribunale. Neanche due mesi dopo, però, avrebbe chiuso - con la sua firma e la sua faccia - una delle operazioni più importanti di tutta la storia del calcio mondiale. Con quali soldi e con quali aiuti non è ancora proprio chiarissimo. 

È il calendario - la naturale successione dei giorni - a gettare nuove ombre su Yonghong Li, l'imprenditore cinese che lo scorso 13 aprile 2017 ha comprato il Milan da Fininvest per la cifra mostruosa di 740 milioni. A scavare nella sua vita lavorativa e imprenditoriale sono stati Milena Gabanelli e Mario Gerevini, in una lunga e dettagliata inchiesta - "La cassaforte che ha comprato il Milan era già vuota" - pubblicata nella sezione "Dataroom" del Corriere della Sera

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Tutto inizia a gennaio 2015, quando "Jie Ande" - la holding di Li che ha una partecipazione dell'11,39% in una società quotata in borsa a Shenzen - chiede un prestito alla Jiangsu Bank. Quei soldi, però, non sarebbero mai stati restituiti, tanto che il 7 febbraio 2017 il tribunale ha chiesto che il patrimonio della holding vada all'asta su Taobao - una sorta di eBay cinese - per ripagare la banca.

L'asta, in realtà, non si è mai tenuta: a gennaio 2018, infatti, una seconda banca ha chiesto la liquidazione per bancarotta della stessa holding, che in sostanza, in una parola, è vuota. E come se non bastasse, quella stessa società - scrive il Corriere - è finita anche nel mirino della China Securities Regulatory Commission, la Consob di Pechino, che ha comunicato l’avvio di indagini per presunti illeciti sul mercato  perché l'azienda di Li avrebbe tenuto nascoste per mesi la sentenza e l’insolvenza.

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In un quadro del genere - i problemi sono tutti pre acquisto Milan - l'imprenditore cinese è però riuscito a portare a casa il Diavolo, nonostante la "Jie Ande" sia l'unica sua proprietà dichiarata insieme ad alcune miniere di fosfato, la cui esistenza però è stata più volte messa in dubbio. 

Scrivono Gabanelli e Gerevini

Mentre era inseguito dai creditori in patria, il 48enne finanziere residente dal ’94 a Hong Kong chiudeva in Italia, sotto i riflettori di mezzo mondo, una delle più costose acquisizioni calcistiche della storia, accreditandosi (e accreditato) come un grande e ricchissimo imprenditore dai mille interessi.

La sua credibilità, storia e consistenza patrimoniale l’ha riassunta in un documento consegnato alle parti nella trattativa e fatto circolare dagli uomini di Li, anche di recente, senza modifiche. Tra gli asset fondamentali, oltre alle famose e fantomatiche miniere di fosfato, c’è anche l’11,39% di Zhuhai Zhongfu, detenuto tramite la cassaforte Jie Ande. 

Quella Jie Ande che, però, il 7 febbraio 2017 - due mesi prima - era finita all'asta per decisione di un tribunale. 

Da qui, la chiusura con i dubbi: gli ennesimi di una storia in cui si è ipotizzata anche un'inchiesta - poi smentita - per riciclaggio.

A questo punto i casi sono tre: 1) Li è realmente molto ricco, finora ha tenuto nascosto il suo vero tesoro che forse non può far emergere, e non paga i debiti perché è distratto; 2) Ha fregato tutti ed è un mitomane; 3) Si è prestato a interpretare la parte in un gioco più grande di lui nel quale i soldi e le garanzie non sono suoi; 4) l’importante è che il Milan non finisca su Taobao.

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