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Incendi Bovisasca / Via Dante Chiasserini, 21

Incendio in via Chiasserini, l'ispezione tre giorni prima del rogo

I tecnici avevano trovato il capannone pieno di rifiuti nonostante la mancanza di autorizzazioni. Poi il cambio al vertice della società e, il giorno successivo, l'incendio

Ci sono pochi dubbi che l'incendio scoppiato in via Chiasserini 21, tra Quarto Oggiaro e Bovisasca, sia di origine dolosa. Da una parte i milanesi si stanno svegliando, tutte le mattine, con un odore irrespirabile nell'aria che ora tocca alcuni quartieri, ora altri. Ad esempio, martedì tutta la periferia ovest era impregnata di una puzza fastidiosissima, mentre mercoledì questa si è estesa anche fino al centro e a Città Studi. Preoccupando tutti che fossero scoppiati altri incendi.

Dall'altra parte, l'incendio non è stato ancora totalmente domato, dopo ormai diversi giorni. E, secondo quanto riferito dall'assessore all'ambiente del Municipio 8 Enrico Fedrighini (Verdi), nella giornata del 17 ottobre i tecnici hanno deciso di abbattere quel che resta del capannone per velocizzare le operazioni di spegnimento dei focolai.

Incendio discarica in via Chiasserini

A bruciare è sopratutto plastica, ma anche legno e carta, oltre a stracci e altro ancora. E l'ipotesi a cui lavorano i vigili del fuoco e gli agenti della squadra mobile è che l'incendio sia stato appiccato in più punti. Per accertare le cause, però, occorrerà aspettare che tutti i focolai siano spenti. Intanto i cittadini sono invitati a respirare l'aria il meno possibile e a lavare accuratamente frutta e verdura raccolte nella zona.

Incendio in via Chiasserini, le immagini dall'alto

La situazione ambientale

Come è noto, l'incendio ha riguardato un capanone di 2.500 metri quadrati con 16 mila metri cubi di materiale prevalentemente plastico, non pericoloso secondo i tecnici che, comunque, monitorano costantemente la situazione dell'aria. Nella caserma dei carabinieri più vicina, per esempio, l'Arpa ha installato apposite centraline in modo da misurare tutti i possibili agenti inquinanti. La tossicità pare comunque esclusa.

Tuttavia sembra che - almeno dal punto di vista ambientale e nonostante la puzza irrespirabile - non vi sia nulla da temere. Secondo i tecnici, infatti, starebbero scomparendo le tracce di ammoniaca trovate inizialmente nell'aria campionata, e le emissioni inquinanti starebbero calando. Motivo per cui il Comune di Milano non ha ritenuto di emanare ordinanze urgenti, ad esempio ordinando di chiudere le scuole.

Questa spiegazione è stata fornita dall'assessore all'ambiente Marco Granelli (Pd) e rilanciata da Enrico Fedrighini (Verdi), assessore all'ambiente del Municipio 8, ma il capogruppo di Forza Italia a Palazzo Marino Fabrizio Di Pasquale chiede ugualmente che il Comune si attivi senza temere eccesso di prudenza: "Sarebbe meglio - scrive - se il Comune diramasse una chiara direttiva alle scuole primarie, sia per diinnescare eccessivi allarmismi sia per imporre regole elementari come non stare all'aperto".

Le ispezioni e il cambio al vertice

La struttura di via Chiasserini era stata soggetta a ispezioni da parte della polizia metropolitana (l'ex polizia provinciale) e della polizia locale milanese in due occasioni: nel mese di luglio e giovedì 11 ottobre, appena tre giorni prima dell'incendio. Ebbene, a luglio il capannone è stato trovato vuoto, a ottobre strapieno. Inevitabile la segnalazione alla procura della Repubblica, che ora ha aperto due fascicoli: uno per traffico illecito di rifiuti e uno per incendio doloso.

Il proprietario del capannone, la società Ipb Srl, a sua volta aveva da tempo presentato denunce in procura e presso i carabinieri perché le erano state segnalate movimentazioni sospette da parte dei residenti, che avevano anche riscontrato un aumento di mosche nella zona. Per di più la società che gestisce materialmente via Chiasserini dopo una cessione di ramo d'azienda (Ipb Italia, nome molto simile ma società del tutto diversa) non aveva l'autorizzazione a trattare rifiuti (per l'esattezza, non avendo presentato una fidejussione era sulla via di ottenere un "no" alla richiesta di autorizzazione ancora pendente) e non aveva più pagato la quota dell'albo nazionale dei gestori ambientali. In parole più semplici, non avrebbe potuto riempire di rifiuti il capannone. E invece lo ha fatto. 

E c'è anche un "giallo" relativo al cambio al vertice di Ipb Italia alla vigilia dell'incendio. Sabato 13 ottobre, infatti, cioè due giorni dopo l'ispezione e le conseguenti segnalazioni in procura, l'amministratore della società di Cureggio (Novara), Mauro Zonca, si è dimesso per lasciare il posto a Patrizia Geronimi. Poche ore dopo è scoppiato il rogo. E' superfluo dire che per molti non si tratta di banali coincidenze, ma saranno le indagini a dispiegare la matassa.

Terra dei fuochi?

In Lombardia sono ormai numerosi, troppo numerosi, i roghi di depositi di rifiuti per non ammettere che, in alcuni casi, è lecito il paragone con la tristemente celebre Terra dei fuochi campana. Che in alcuni casi vi siano guadagni illeciti da parte di persone irresponsabili che mettono in pericolo la salute pubblica stoccando illegalmente e, talvolta, bruciando senza alcuna misura di sicurezza rifiuti anche pericolosi è fuor di dubbio.

Le forze dell'ordine hanno recentemente risolto l'incendio doloso di Corteolona (Pavia) scoppiato il 3 gennaio 2018 per "ripulire" un capannone che, in pochi mesi, era stato riempito all'inverosimile. Sono scattati sei arresti, due ai domiciliari e quattro in carcere, e sono stati individuati i responsabili di un "giro" illecito di rifiuti il cui rogo finale ha messo in pericolo e in apprensione una intera comunità di abitanti della zona stradellese.

Le indagini hanno fatto emergere un modus operandi rodato e ripetuto più volte: la "mente" dell'organizzazione reperiva capannoni da affittare e poi li riempiva di rifiuti provenienti da siti di stoccaggio (per Corteolona venivano quasi tutti da Corsico) i cui responsabili non sono certo esenti da colpe, visto che liberandosi in quel modo dei "loro" rifiuti risparmiavano parecchio denaro. 

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