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Aggressioni negli ospedali, il Pd presenta una proposta di legge in Regione

Troppi episodi di aggressioni fisiche o verbali in corsia ma ancora poca consapevolezza del fenomeno da parte anche degli stessi ospedali. Le proposte

Oltre 1.700 aggressioni registrate in quasi tre anni all'interno degli ospedali della Città Metropolitana di Milano: spinte, botte, schiaffi, insulti e minacce verbali. Il calcolo è stato effettuato direttamente su dati forniti dalle strutture: 1.704 aggressioni dal 2016 al primo settembre 2019. I più colpiti dal fenomeno (462 casi) sono i posti di pronto soccorso, seguono i reparti di psichiatria con 195 episodi. E nell'80% dei casi le aggressioni hanno per vittime il personale infermieristico.

I numeri sono stati presentati dal Partito Democratico che, in consiglio regionale con Carmela Rozza, ha promosso un progetto di legge che dia gli strumenti per intervenire: a partire dalla formazione del personale per proseguire con la dettatura di procedure e responsabilità. L'obiettivo finale è la messa in sicurezza dei luoghi di cura e assistenza. Le nuove pratiche verrebbero finanziate con un primo stanziamento di 400 mila euro. 

«Il tema della sanità è vastissimo - dichiara Silvia Roggiani, segretaria metropolitana del Pd - ma purtroppo di sicurezza negli ospedali non si parla mai. Si tratta di un fenomeno che tocca da vicinissimo la vita delle persone ma è troppo poco indagato. Per questo motivo il Partito Democratico, attraverso i suoi rappresentanti nelle istituzioni, vuole accendere un faro e andare nella direzione di garantire maggiori garanzie ai pazienti, da una parte, e sicurezza e tutele a medici e operatori sanitari ritenuti, a torto, responsabili di attese ritardi e disservizi».

«Fino ad oggi ci sono state solo raccomandazioni - aggiunge la consigliera regionale Carmela Rozza - adesso ci vuole una legge Solo con la forza di una legge possiamo obbligare tutte le aziende sanitarie a mappare il fenomeno delle aggressioni in maniera omogenea e secondo un sistema univoco. Dai numeri raccolti emerge approssimazione e noncuranza nei confronti di un fenomeno troppo importante. Gli operatori socio-sanitari arrivano a sentirsi responsabili di inefficienze e ritardi, cosa che li spinge spesso a non segnalare episodi di cui sono vittime, per questo è necessario che le amministrazioni li tutelino e non li facciamo sentire soli, da una parte. E dall'altra è indispensabile che persone in sofferenza, come pazienti, possano sentirsi assistiti nelle migliori condizioni possibili».  

Le strutture ospedaliere non hanno ancora affinato, nel loro complesso, un "modus operandi" univoco per affrontare l'emergenza delle aggressioni ma soprattutto per capire il fenomeno, a partire dai conteggi. Per esempio, stupisce che l'Asst Pini-Cto ne "contabilizzi" appena 13 nel solo 2016 e nessuna negli anni successivi. In un altro caso (Fatebenefratelli-Sacco) le aggressioni vengono contate ma non divise per reparto, per cui non è noto dove si siano verificate.

Al contrario, l'Asst San Paolo e San Carlo nel 2019 ha iniziato a contarle dividendole per reparto ed è in grado d'indicare anche l'identità dell'aggressore (paziente psichiatrico nel 38% dei casi, altro paziente nel 40% dei casi, parente nel 19% dei casi e collega nel 3% dei casi) e la modalità (verbale nel 42% dei casi, fisica nel 39%, entrambe nel 19%). Lo stesso fa il Policlinico L'Asst Nord Milano va oltre e indica la gravità del danno, la tipologia e il luogo specifico (per la cronaca, "vincono" i corridoi con 73 casi contro i 38 del pronto soccorso e a seguire gli altri).

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