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Giovedì, 25 Aprile 2024

Il commento

Alessandro Gemme

Giornalista

"Le bici in mezzo alla strada hanno rotto i coglion*"

"Happy to finish the worst ride of the year again in one piece", che tradotto suona un po' come "Sono felice di aver finito di nuovo il peggior giro dell'anno tutto intero". È il commento di Wout Van Aert (terzo classificato alla Milano-Sanremo) riguardo al suo giro in bici di venerdì. Le strade su cui si è allenato il fuoriclasse belga le conosco come le mie tasche, sono le stesse che faccio da quasi due decenni: Saronno-Rovellasca, poi Pianbosco, Appiano Gentile e rientro da Turate, evitando la Varesina.

Il cancro di questo angolo di Lombardia tra Varese e Como è il traffico sostenuto. Traffico di provincia, per dirlo con le parole dei milanesi snob. Traffico veloce, auto che viaggiano a 70 Km/h dove il limite è 50 (perché chi rispetta i limiti è uno sfigato); furgoni che quando sorpassano passano a 15-20 centimetri dal manubrio, anziane che vanno a far la spesa e sorpassano per poi svoltare subito a destra. Strade in cui anche quando sei in mezzo al verde - Pianbosco - devi sperare che il tossico di turno in cerca di coca non sia già fatto, altrimenti è un attimo finire steso sull'asfalto.

Giri in bici di  Wout Van Aert

Il problema di questa enorme provincia che si chiama Italia è uno solo: l'assenza di rispetto per chi usa la bicicletta, come ha scritto Omar Di Felice, ultracyclist che è recentemente rientrato da un giro di 1.200 km (con 18k di dislivello) in India. "In India non è che si guidi 'bene', tutt'altro. Ma le cause dietro il traffico e una certa mancanza di disciplina sono diverse da quelle che popolano le nostre strade - ha scritto in un post su Facebook -. C'è molta mancanza di conoscenza delle regole di guida sicura, infrastrutture (strade) carenti e veicoli senza sistemi di sicurezza adeguati. Ma non manca una cosa: il rispetto. Nonostante il caos tra le strade non ho mai visto un braccio levarsi per mandare a quel paese qualcuno, o un finestrino abbassato per insultare un ciclista o un pedone, né manovre da 'bulli' della serie 'Se non ti levi ti schiaccio come una mosca'".

Il problema è culturale (e certe pubblicità hanno aiutato a inculcarlo). La soluzione? Educazione. Bisogna insegnare che non serve necessariamente un mezzo a motore per uno spostamento sotto i 10 chilometri, soprattutto in pianura padana. La bicicletta è già una alternativa all'automobile, lo hanno capito in Danimarca, Olanda e Germania, paesi del primo mondo dove gli inverni sono decisamente più freddi dei nostri. In Italia, invece, continuiamo a pensare che chi utilizza la bicicletta sia una persona che non abbia nulla da fare (nel caso si tratti di un ciclista in la bici da corsa), o di uno squattrinato. Un povero diavolo che non può permettersi altro mezzo. Spoiler: generalmente in bici si arriva prima (perché si parcheggia esattamente a destinazione). Non solo, ci si tiene in movimento - ringraziano cuore, testa e gambe (cit.) -, ma dato il caro carburanti ringrazia anche il portafoglio. Non serve un Phd ad Harvard per capirlo. Invece in Italia si continua a suonare e mandare a quel paese il ciclista a lato della strada.

"Le bici in mezzo alla strada hanno rotto i coglion*"

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