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Il giallo

Al consolato ucraino a Milano si arruolano legionari per la guerra?

Il dubbio per un post pubblicato su Facebook e poi rimosso nel pomeriggio di mercoledì: la pratica è vietata

"Le porte del Consolato generale d'Ucraina a Milano sono aperte agli aspiranti legionari". Lo si legge in un post pubblicato sulla pagina Facebook del Consolato, datato 28 febbraio, rimosso mercoledì pomeriggio. Nel ringraziare "tutti coloro che si sono rivolti al Consolato con la richiesta di unirsi ai ranghi della Legione straniera della difesa territoriale dell'Ucraina", il post elenca i passaggi per potersi arruolare: "Il primo passo dell'iter - si legge - è un colloquio del candidato residente nel Nord Italia con il console". Al colloquio, a cui ci si può presentare senza appuntamento, è necessario portare il passaporto e "documenti confermanti l'eventuale esperienza nel servizio militare/nel servizio delle forze dell'ordine/partecipazione a conflitti armati o altri documenti utili ai fini del colloquio". "Vi aspettiamo e vi siamo infinitamente grati per l'interessamento", conclude il post, lasciando i contatti e-mail e telefonici per chi fosse interessato.

Sulla questione è intervenuto Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista. "Al Consolato dell'Ucraina a Milano si arruolano volontari per la guerra. Questa attività in assenza di un'autorizzazione del governo non è illegale?", si chiede. "Nelle prossime ore presenteremo un esposto alla Procura di Milano e un'interrogazione parlamentare per fare piena luce. Il governo Draghi ha autorizzato l'apertura di un ufficio per l'arruolamento?", scrive in una nota.

"Ricordo che l'articolo 244 codice penale prevede che: 'Chiunque, senza l'approvazione del Governo, fa arruolamenti o compie altri atti ostili contro uno Stato estero, in modo da esporre lo Stato italiano al pericolo di una guerra, è punito con la reclusione da sei a diciotto anni; se la guerra avviene, è punito con l'ergastolo. Qualora gli atti ostili siano tali da turbare soltanto le relazioni con un Governo estero, ovvero da esporre lo Stato italiano o i suoi cittadini, ovunque residenti, al pericolo di rappresaglie o di ritorsioni, la pena è della reclusione da tre a dodici anni. Se segue la rottura delle relazioni diplomatiche, o se avvengono le rappresaglie o le ritorsioni, la pena è della reclusione da cinque a quindici anni'", conclude Acerbo.

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