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Milano, abbandonati e in balia della burocrazia: la nostra disavventura con il coronavirus

Resteremo chiusi in casa oltre un mese, tutto merito dell'eccellenza della sanità lombarda

Il telefono squilla libero (fortunatamente). Risponde la segretaria e poi arriva la voce del medico. Giulia vorrebbe prenotare il tampone di controllo. Vorrebbe uscire dall'isolamento fiduciario in cui l'ha costretta il coronavirus ma le parole del medico di base sono lapidarie: "Il tampone di fine quarantena non te lo faranno mai, se il tuo capo lo vuole per tornare in ufficio devi farlo privatamente", dice con la voce rassegnata di chi è oberato dal lavoro. Risultato? Altri giorni di isolamento. Clausura forzata e ingiustificata perché i 21 giorni dai primi sintomi sono già passati. Un isolamento frutto della burocrazia e della disorganizzazione, tutto merito della sanità lombarda e di Ats Città Metropolitana di Milano. È quello che stiamo vivendo io e la mia compagna, infettati dal coronavirus a inizio novembre (fortunatamente con sintomi lievi) che usciremo dall'isolamento praticamente a metà dicembre.

Ma procediamo con ordine. Giulia ha avuto i primi sintomi il 9 di novembre: un banale raffreddore e un leggero malessere. Insieme abbiamo deciso di interrompere ogni contatto con l'esterno. Quello stesso giorno ha chiamato il suo medico che l'ha segnalata come caso sospetto. Tramite Ats è riuscita a prenotare il primo tampone il 12 novembre. Lei non si è aggravata, mentre io (che fino a martedì ero sano come un pesce) mercoledì 11 novembre mi sono svegliato con 38 di febbre. Abbiamo subito capito che fosse coronavirus ma per avere la certezza abbiamo dovuto aspettare cinque giorni: l'esito del tampone di Giulia è arrivato il 17 novembre. E la quarantena (quella ufficiale, burocratica) è scattata quel giorno. Io, invece, sono stato contattato da Ats il 12 di novembre. L'appuntamento per il tampone è arrivato una settimana dopo, l'esito il 20 novembre.

La malattia ha fatto il suo corso, fortunatamente non abbiamo sviluppato sintomi gravi. Siamo stati aiutati dai nostri genitori che non ci hanno mai fatto mancare la spesa e ci hanno aiutato a smaltire i rifiuti. Stiamo bene. Vorremmo uscire di casa. Vorremmo respirare un po' di aria ma non possiamo farlo nonostante per Giulia siano passate tre settimane dai primi sintomi (io "finisco" i 21 giorni tra poco). Il motivo? La quarantena — quella burocratica, quella che ha valore legale, quella che ti evita guai con la legge — varia da caso a caso. È determinata da due variabili: quando ti fanno il tampone ma soprattutto quando ti comunicano il test. Giulia ed io resteremo isolati fino al 12 di dicembre: 21 giorni dopo l'esito del mio primo tampone (forse l'unico che riuscirò a fare).

Vorremmo accorciarla, certo. Vorremmo essere sottoposti al tampone di controllo ma Giulia non riesce a loggarsi nel sito che è stato costruito da Ats per i malati di covid: non riceve l'sms per l'autenticazione. Lo ha segnalato al gestore del portale ma ha ricevuto solo una risposta laconica: "Abbiamo preso in carico il suo problema, nei prossimi giorni la contatteremo". Io, invece, potrei prenotarlo a partire da oggi ma il portale mi blocca ogni azione. Non ci resta che aspettare. Non ci resta che restare chiusi in casa e attendere che passino le giornate. Lo facciamo perché rispettiamo le regole. Lo facciamo anche se la nostra libertà è in mano a delle persone diversamente preparate (sì, abbiamo in mente altre parole ma siamo anche persone gentili).

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