Sotto sfratto il covid hotel in pieno centro a Milano: "Malati danno per il quartiere"
La proprietà dello stabile ha deciso di sfrattare la società che gestisce il King Mokinba Hotel
Il King Mokinba Hotel è un albergo a quattro stelle in Corso Magenta a Milano, praticamente a due passi dal Duomo. E come quasi tutti gli hotel all'ombra della Madonnina è una struttura senza ospiti e in difficoltà a causa della pandemia. Probabilmente le stanze (rifatte nei primi mesi del 2020) sarebbero tornate a "vivere" nei prossimi giorni: l'albergo, infatti, sarebbe stato il prossimo in graduatoria per diventare covid-hotel ma la società proprietaria dello stabile ha diffidato i gestori del King Mokinba Hotel a realizzarlo. Attraverso una pec è stato loro intimato che "qualsiasi operazione di trasformazione in 'Covid hotel' deve essere immediatamente interrotta e non proseguita".
Il motivo? Secondo quanto riportato nella diffida (inviata anche all'Ats) l'hotel si troverebbe "in diretta adiacenza ad altre attività e immobili residenziali che potranno risentire negativamente della presenza di soggetti ad alto rischio contagio, ovvero portatori di malattia". Non solo, i gestori hanno ricevuto anche lo sfratto dopo 35 anni perché la locazione di novembre (quindi l'ultima) "è stata saldata con 15 giorni di ritardo rispetto a quanto pattuito dal contratto", ha spiegato a MilanoToday Fabrizio Della Corte, direttore generale Mokinba Hotels.
"Con la proprietà non abbiamo mai avuto nessuno screzio, se fossimo stati cattivi pagatori saremmo stati già fuori da qui — ha continuato Della Corte —. Di più, nei primi mesi dell'anno abbiamo investito oltre un milione di euro per rifare tutte le stanze, abbiamo cercato di riaprire nei mesi scorsi ma la pandemia ci ha tagliato le gambe. Sono otto mesi che non lavoriamo".
L'hotel, comunque sembra voler andare avanti per la sua strada: "All'interno del contratto non c'è nessuna clausola che specifica chi devo ospitare o meno", ha concluso il direttore generale Mokinba Hotels. L'avvocato della società, Pietro Longhini, ha scritto a Regione e Ats, spiegando che "il supposto consenso della proprietà, al di là di ogni valutazione, che ci asteniamo dallo svolgere, di morale collettiva ed etica sociale, non è richiesto né tantomeno dovuto, né in base alla convenzione, né in base al contratto di locazione".