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Coronavirus e incendio al tribunale rischiano di far collassare le carceri: 'Liberate i detenuti'

L'Ordine degli avvocati di Milano chiede l'immediata fuoriuscita dal carcere di un numero di detenuti idoneo ma avente 'diritto' proprio per affrontare l'emergenza. Gli agenti di polizia penitenziaria denunciano: "Non vogliono farci i tamponi"

Le carceri milanesi sono al limite e il codiv-19 rischia di far saltare un equilibrio che precario lo era da tempo. In più, l'incendio che la notte tra venerdì e sabato ha coinvolto una parte del Tribunale di Milano potrebbe avere ripercussioni gravissime sui detenuti e, in generale, sulla tenuta delle case circondariali lombarde. A denunciare la situazione critica sono l'Ordine degli avvocati di Milano e dalla Camera Penale e i sindacati della polizia penitenziaria, preoccupati dopo la morte dell'agente Nazario Giovanditto.

Incendio in tribunale (foto Bennati e Vvff)

"È un'emergenza nell'emergenza, che deve essere affrontata in maniera decisa e rapida, per disinnescare una bomba sanitaria che purtroppo non tardera? ad esplodere", scrivono in una nota gli avvocati. "L'incendio di venerdi? notte - spiegano - ha reso inagibili gli uffici del Tribunale di Sorveglianza rendendo ancora piu? complicata la valutazione delle istanze di differimento pena e di misure alternative presentate in ragione dell'emergenza Covid-19. Lo stesso problema si pone per l'ufficio Gip, presso il quale vanno valutate molte istanze di sostituzione di misure cautelari in carcere per la medesima emergenza sanitaria".

Aumento i detenuti e gli agenti della penitenziaria contagiati

Tutto cio? a fronte di un continuo e progressivo aumento delle persone positive nei 18 istituti della regione. Nessuno ne e? immune. Non lo sono i detenuti, non lo e? il personale della Polizia Penitenziaria e non lo sono tutti gli operatori occupati in questo delicato settore. "Le informazioni recenti - rivelano i legali - danno conto del fatto che il contagio e? in corso e la consapevolezza della situazione degli istituti ci spaventa". Il cronico sovraffollamento delle celle rende impossibile il distanziamento. "Scarseggiano i presidi sanitari: mascherine, guanti e tamponi. Le strutture vetuste di parecchi istituti, che non prevedono certo celle singole o bagni ad uso individuale, renderebbero problematica la gestione anche a capienza regolamentare rispettata", proseguono con la denuncia.

Fatti confermati anche dagli stessi agenti di polizia penitenziaria. "Qui siamo in dieci positivi al Covid, quattro nel quinto raggio. Ma se ci facessero il tampone almeno la metà di noi risulterebbe contagiata", la testimonianza dell'agente Francesco Di Cataldo al portale Penitenziaria, parlando di San Vittore. Nel carcere milanese, teatro come molti altri istituti italiani del tentativo di rivolta all'inizio dell'emergenza, ci sono circa 950 detenuti e lavorano oltre duecento poliziotti al giorno.

Rivolta a San Vittore (foto C.R.Guarino)

"L'amministrazione penitenziaria non vuole farci fare i tamponi – racconta Di Cataldo – perché più della metà di noi risulterebbe positiva e dovrebbero chiudere il carcere. Con le mascherine siamo messi ancora peggio. Ai detenuti vengono distribuite quelle non omologate e noi dobbiamo comprarci da soli quelle chirurgiche da 50 centesimi o da un euro. Insomma, lavoriamo senza sapere se siamo positivi e in condizioni di totale mancanza di sicurezza. In più se un detenuto dovesse risultare positivo rischieremmo anche la denuncia. È possibile secondo voi fare determinati interventi nelle celle, come le perquisizioni, mantenendo le distanze di un metro? E se uno di loro dà in escandescenze che cosa dobbiamo fare? Il carcere è molto più piccolo di quel che si immagina all'esterno".

Una condizione precaria che per colpa dell'incendio al Tribunale diventerà presto una bomba ad orologeria. Le fiamme hanno reso impraticabili proprio gli uffici - Gip e Sorveglianza - che si devono occupare delle istanze dei detenuti. "Insostenibile", incalzano gli avvocati, che spiegano come il Tribunale di Sorveglianza fosse gia? allo stremo delle proprie risorse: "Mancano magistrati ed amministrativi, al punto di costringere all'annullamento di numerose udienze collegiali con detenuti nelle prossime settimane".

La soluzione? La liberazione di una parte di detenuti

In un quadro ampiamente compromesso, per detenuti, agenti e operatori sono in molti a invocare una soluzione drastica come quella della sospensione della pena, diverso dall'indulto. Per l'Ordine degli avvocati è "improcrastinabile un intervento che preveda, in via quasi automatica e dunque senza il necessario intervento degli Uffici di Sorveglianza, l'immediata fuoriuscita dal carcere di un numero di detenuti idoneo a consentire la gestione dell'emergenza sanitaria negli istituti. Si tratta di intervento che davvero pare non poter piu? essere rinviato".

"L'intervento - suggeriscono gli stessi legali - potra? essere fatto attraverso la sospensione ad opera delle Procure della Repubblica o Procure Generali delle esecuzioni in corso delle pene residue sino 4 anni (con eventuale esclusione dei soli reati associativi gravi previsti dall'articolo 4 bis co. 1 OP) per sei mesi con decorrenza dalla modifica legislativa; con facolta?, alla scadenza del termine di legge, di domandare una misura alternativa alla detenzione. Cio? consentirebbe, al termine dell'emergenza, una valutazione oggi non possibile sulle modalita? dell'esecuzione del residuo di pena da parte della magistratura di sorveglianza". Questo perché l'indulto, sempre secondo l'ordine, "richiederebbe maggioranze e, forse, tempi di approvazione non adeguati alle esigenze attuali".

"Nel frattempo - prosegue l'Ordine - si chiede che l'articolo 656 co. 5 c.p.p. sia eccezionalmente esteso a tutte le pene residue da eseguire sino ai quattro anni, senza le esclusioni attuali di cui al co. 9, per un periodo di sei mesi, al fine di evitare nuovi ingressi in questa fase. Altra misura di semplice applicazione, che richiederebbe tuttavia provvedimenti della magistratura di sorveglianza che in questo momento di inagibilita? degli uffici sarebbero comunque piu? complessi, e? la concessione retroattiva a partire dal 1.1.2016 di ulteriori 30 giorni di liberazione anticipata speciale a chi abbia gia? fruito di tale riduzione di pena negli ordinari 45 giorni".

"Per quanto riguarda i detenuti in custodia cautelare - concludono gli avvocati - riteniamo che le norme vigenti gia? impongano alle autorita? giudiziarie di merito di tenere conto, nella valutazione del parametro di adeguatezza della misura, dell'emergenza sanitaria in corso: mai come oggi la misura cautelare in carcere deve costituire l'assoluta eccezione". 

Una richiesta condivisa, in parte, proprio dagli agenti che controllano i detenuti. Lo confermano le parole del segretario del sindacato di Polizia Penitenziaria, Daniela Caputo: "Ad oggi sono due le vittime della penitenziaria e ancora molto carenti sono i dispositivi di sicurezza individuali per il personale negli istituti penitenziari. Per poter approntate le misure di contenimento del contagio e tutelare la salute di operatori e ristretti occorre urgentemente valutare un intervento seriamente deflattivo, ovviamente con riferimento a detenuti con fine pena non troppo elevati e a condizione che vi siano siti idonei per coloro che vengono scarcerati dove possano eventualmente trascorrere l'isolamento precauzionale".

Le 'case' per detenuti: il progetto caritas

In questo senso diverse associazioni si sono già offerte per dare una mano. La Caritas Ambrosiana e la Diocesi di Milano, per esempio, offrono un aiuto concreto contro il sovraffollamento delle carceri, sul monito di papa Francesco al termine dell’Angelus domenica. La Caritas ha messo a disposizione un luogo per accogliere i detenuti dei penitenziari del territorio ambrosiano: quelli che possono scontare gli ultimi 24 mesi di detenzione all'esterno del carcere ma non hanno una casa. Un progetto in linea con quanto chiedono gli avvocati penali e gli agenti di polizia penitenziaria.

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