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Coronavirus, l'ipotesi dei ricercatori della Statale: "Il clima freddo facilita la diffusione"

Il fatto emergerebbe da uno studio realizzato da: Francesco Ficetola e Diego Rubolini

Il coronavirus potrebbe crescere più rapidamente a temperature medie di circa 5 gradi mentre si diffonderebbe più lentamente con un clima caldo e umido. È quanto sostengono alcuni ricercatori dell'Università Statale di Milano che hanno realizzato uno studio sfruttando il database globale di casi giornalieri confermati di Covid-19, realizzato e mantenuto dalla Johns Hopkins University. I condizionali, tuttavia, sono d'obbligo perché, almeno per il momento, non c'è una solida evidenza scientifica e soprattutto diversi virologi non sono così concordi nel dire che il virus scomparirà completamente con l'arrivo del caldo nell'emisfero boreale.

Secondo i ricercatori del dipartimento di Scienze politiche e ambientali le condizioni meteorologiche e climatiche hanno un ruolo molto importante nell'influenzare l'andamento delle epidemie. E la pandemia di Covid-19, secondo loro, seguirebbe l'andamento dei virus influenzali.

Nel loro studio gli esperti hanno messo in relazione il tasso di crescita dei casi di Covid-19 con la temperatura e l'umidità medie dei mesi dell'epidemia: sostengono che la variazione del tasso di crescita di Covid-19 tra nazioni è risultata essere fortemente associata a temperatura e umidità. In particolare — secondo i ricercatori — l'epidemia crescerebbe più rapidamente a temperature medie di circa 5°C ed umidità medio-bassa, compresa tra 0.6 e 1.0 kPa. Viceversa, in climi molto caldi e umidi, caratteristici di alcune zone tropicali, l'epidemia sembrerebbe diffondersi molto più lentamente, anche se nessuna area popolata del mondo sembra essere completamente inidonea alla diffusione della patologia.

Gli autori dello studio, Francesco Ficetola e Diego Rubolini, hanno poi realizzato alcune mappe globali indicando come potrebbe cambiare nei prossimi mesi il tasso di crescita di Covid-19. Sempre secondo le loro evidenze il virus potrebbe diffondersi in vaste aree dell'emisfero australe, tra cui America meridionale, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda: zone che presenteranno verosimilmente condizioni ambientali simili a quelle in cui si è sviluppato in questi mesi.

Le differenze tra nazioni nei livelli di inquinamento atmosferico, di densità abitativa, e di investimento pubblico nel sistema sanitario, secondo i ricercatori, non avrebbero effetti significativi sulla crescita dell'epidemia. Sarà davvero così?

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