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"Il 51% del vaccino anti-covid a personale non sanitario". Ma la Regione smentisce

Per la fondazione, il 51% delle dosi lombarde anti Covid è finora andato a personale non sanitario. Ma dalla Regione smentiscono

Botta e risposta tra Fondazione Gimbe e Regione Lombardia sui numeri dei vaccini anti Covid. Il rapporto settimanale della fondazione, diffuso nella tarda mattinata di giovedì 28 gennaio, certifica che a ricevere la somministrazione del vaccino è stato per il 51% il personale non sanitario incluso nella fase 1, quindi chi lavora in ospedale o nelle Ats (il più alto in Italia), mentre il 40% delle dosi è andato al personale sanitario, l'8% agli ospiti delle Rsa, l'1% agli over 80. Immediata la reazione di Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici: «Una cosa incomprensibile su cui sarà necessario fare verifiche».

A preoccupare, naturalmente, non è tanto il fatto che il personale non sanitario sarebbe stato vaccinato "più velocemente", se ne ha diritto, ma che nella lista dei vaccinandi (ovunque in Italia) possano essere stati inseriti parenti, amici o quant'altro, che non avrebbero diritto al vaccino anti Covid in questa fase. 

La Regione, comunque, ha replicato ai numeri del rapporto con una nota ufficiale, affermando che le dosi destinate ai non sanitari sono state finora il 21,1% di quelle somministrate, non il 51%: ovvero 54 mila su 256 mila. La maggioranza delle dosi (67,2%) è stata invece somministrata agli operatori sanitari, l'11,7% a ospiti delle Rsa. 

Ritardo vaccini, Gimbe: «Mesi per recuperare immunità»

Nino Cartabellotta, presidente di Gimbe, si è in generale soffermato sui ritardi nelle forniture del vaccino: "Il vero problema - ha detto ospite a Tagadà su La7 - è quanti mesi ci serviranno per recuperare i ritardi nelle forniture del vaccino. Di questo passo copriremo entro il primo semestre una percentuale che riguarda solo la popolazione a rischio. Quindi l'immunità di gregge potrebbe essere molto piu' avanti nel tempo rispetto a quanto previsto». E a riguardo della diatriba tra Lombardia e Istituto Superiore di Sanità su dove e perché si è inceppato il calcolo dell'Rt, secondo Cartabellotta «fino a quando Governo e Regioni non decidono di rendere pubblici i dati, i tecnici non possono esprimersi sul confronto tra Lombardia e Istituto superiore di sanità e neanche gli istituti indipendenti come il Gimbe possono farlo. I dati devono essere pubblici».

«Se avessimo avuto da inizio pandemia un unico sistema di raccolta dati - ha proseguito il presidente di Fondazione Gimbe - avremmo ora un sistema più chiaro e in grado di fornire risposte precise sul contagio. Il valore dell'Rt viene calcolato esclusivamente sui casi sintomatici, all'Istituto superiore di sanità serve la data della comparsa dei sintomi per calcolarlo. Ci sono poi diverse modalità con cui ogni Regione trasmette i dati, oltre la frammentazione dei passaggi». Cartabellotta ha poi criticato il peso dell'Rt per stabilire il "colore" di una Regione: «L'Rt non può influire al 50% sulla decisione dei colori sul territorio, che viene calcolato insieme ai 21 parametri».

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