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Crisanti: «Le Regioni possono imbrogliare sui dati. Milano andava chiusa 15 giorni fa»

Durissimo il microbiologo veneto sulla possibilità che le Regioni mandino dati incompleti o dimettano molte persone "borderline" per non finire in "zona rossa"

Non le manda a dire il microbiologo Andrea Crisanti, intervenendo ad Agorà su Rai Tre, su quanto sta avvenendo mercoledì 4 novembre dopo la firma del Dpcm che "disegna" un'Italia arcobaleno tra Regioni rosse, arancioni e verdi a seconda dei dati misurati su ventuno diversi parametri legati al Coronavirus, e differenzia le chiusure in tal senso. Alle quattro meno un quartoo del pomeriggio non si sa ancora quali siano le Regioni a più elevato rischio (livello 4, "rosso"), anche se dovrebbero essere Lombardia, Piemonte e Calabria. 

«Se tenere aperta o chiudere una Regione diventa un fatto politico, se un presidente di Regione pensa che il successo politico si dimostra non chiudendo, è chiaro che ci sono mille modi per aggiustare i dati e stare sotto la soglia», ha affermato senza nominare nessuno, ma riferendosi al fatto che i presidenti di Regione non avrebbero voluto lockdown locallizzati ma, semmai, un lockdown generale nel Paese, proprio per non avere a che fare con l'ipotizzabile rabbia dei propri elettori.

Il Dpcm in realtà ha lasciato aperto uno spiraglio: le Regioni possono "trattare" col Ministero della Salute alcune deroghe alle chiusure stabilite dal Dpcm stesso. Ma Attilio Fontana, presidente della Lombardia, ha avvertito: i numeri sulla base dei quali si decide se una Regione è a rischio sono "vecchi", perché su quelli più recenti non ci sono ancora rapporti del Cts. Un braccio di ferro che sembra essersi risolto con la decisione di affidarsi ai dati del 25 ottobre, che non tengono conto delle restrizioni frattanto stabilite; e che suonano anche come una "punizione" verso quelle Regioni che potrebbero avere già iniziato ad adottare il metodo temuto da Crisanti: mandare dati incompleti. Anche se il microbiologo, in tv, ha suggerito soprattutto di stare attenti ai numeri dei ricoveri ospedalieri: «Basta non ricoverare o rimandare a casa persone che sono border line», ha detto.

«Milano era da chiudere 15 giorni fa»

In Lombardia però i numeri preoccupano oggettivamente da settimane, stante anche l'incapacità di tracciare i contatti dei positivi ammessa dalle varie Ats. Crisanti su questo si è schierato con l'ordine dei medici che chiede un lockdown completo per il capoluogo Milano, ma va anche oltre (retroattivamente): «Si doveva pensare di chiudere in maniera mirata determinate zone quindici giorni fa, e non saremmo a questo punto».

Come ad Alzano e Nembro?

Tornerà la polemica già sentita sulla mancata attuazione della "zona rossa" ad Alzano e Nembro? Sembra che ci siano tutti i presupposti. Ricordiamo che all'epoca il Cts aveva suggerito, il 3 marzo, di chiudere la Val Seriana. Ma poi non se ne fece nulla: la Regione aspettava il Governo, il Governo decideva di acquisire ulteriori pareri, fino al lockdown generale italiano.

La competenza sulla "zona rossa" di Alzano e Nembro (poteva farla la Regione o doveva farla il Governo?) è stata ed è una delle domande fondamentali sulla prima ondata di pandemia Covid. Anche se oggi l'orientamento della popolazione è meno favorevole al lockdown di quanto non fosse in primavera, certamente i milanesi non apprezzerebbero altri scaricabarile a posteriori mentre contano i morti. Né, tantomeno, che arrivi un giorno in cui tutti affermino che "si doveva fare" e si puntino il dito a vicenda su chi ha "remato contro".

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