In provincia non ci sono più le feste della birra (gratis). Ed è un peccato
Fino a dieci anni fa nell'Altomilanese, l'angolo di mondo in cui sono nato e cresciuto (e dove vivo tutt'ora, orgogliosamente), il tempo veniva scandito dal ritmo di cinque stagioni: autunno, inverno, primavera, estate e la "stagione delle feste della birra". Quest'ultima iniziava con i primi caldi di maggio e terminava prima alla fine dell'estate, poco prima dell'anno scolastico. Ovviamente per il sottoscritto, attuale 33enne, era la stagione migliore dell'anno.
Tempi verbali al passato, purtroppo. La stagione non si è estinta, ma si è drasticamente ridotta. Sopravvive qualche realtà, ne sono nate di nuove (tra queste il BigBang di Nerviano), ma per il momento sembra che la stagione sia arrivata al capolinea. Inutile dire che era un momento magico, fatto di concerti gratis: l'unica regola era comprare le birre sul posto e non portarsele "da casa".
Mi spiego. La stagione delle feste dell'altomilanese iniziava col Chackratazza di Lainate, proseguiva con il Diaball fest di Pogliano, poi c'era il Rembabeer di San Vittore Olona, il Rugbysound di Parabiago, la Festa della birra di Arluno, quella di Ossona e il Rock’in Rho. Quando iniziavano le prime vacanze la stagione si sospendeva per ricominciare con Fuori di Festa a Garbatola, l'evento che ho organizzato per 13 anni insieme a un gruppo di amici. Erano feste tutte diverse l'una dall'altra. Alcune erano minuscole, altre gigantesche. Tra queste c'era il Rugbysound che era già mastodontico.
Erano realtà tutte diverse, ma con un unico scopo: regalare socialità e raccogliere soldi per le iniziative più disparate. Alcune servivano per raccogliere fondi per pagare le trasferte della prima squadra, altre per tenere in piedi la pro loco, alcune avevano come unico fine quello di tener vivo il paese. Ci si riusciva? Sì, anche se a volte i litri di birra spillati erano molti di più di quelli venduti. In questi casi partivano gli "shampoo" dalla vecchia guardia. Già, "la vecchia guardia". Perché in queste realtà si cresceva. Si entrava da sbarbati e dopo qualche anno si capiva di essere diventati adulti. Si imparava a grigliare salamelle, friggere patatine, spillare birre. Non solo, si imparava a montare i palchi, maxi gazebo in cui venivano allestite le cucine (strutture che in certi casi arrivavano direttamente dalla stalla di qualche agricoltore). Si imparava a gestire un budget, stilare un cartellone, gestire i gruppi, compilare un borderò Siae. Si imparava soprattutto a stare insieme, sia da una parte che dall'altra del bancone.
Non erano festival. Erano feste. Ci si presentava con la voglia di prendere una birra con qualche amico e spesso si finiva col tornare alle 4 del mattino. Per una settimana di fila. Belli i festival con artisti altisonanti, ma le feste della birra erano un'altra cosa. Erano una cosa seria.