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Massimiliano Tonelli

Direttore Editoriale CiboToday

Corvetto

Dopo l'incendio, cosa fare nell'area del Porto di Mare?

Un'area strategica, con una stazione metro, una stazione dei treni ad alta velocità, eppure in abbandono e senza una visione. E pensare che questi terreni sono di proprietà del Comune

Un rogo ha carbonizzato una vasta area del Porto di Mare domenica 3 luglio a Milano. Ma cosa è l'area di Porto di Mare? Perché si chiama così? Come mai si è arrivati a questo incendio? E cosa si può fare per girare questo episodio in chiave costruttiva sperando che porti finalmente a dare le giuste attenzioni a un'area abbandonata?

Porto di Mare e il suo fallimento

Porto di Mare. Per alcuni milanesi e turisti è ancora un punto interrogativo il senso di questo misterioso toponimo da stazione metro di periferia. Doveva chiamarsi “Fabio Massimo” la fermata della linea gialla, poi si decise per il più esotico “Porto di Mare” per ricordare la destinazione che doveva avere questa area dell’estremo sud est della città. Qui in effetti secondo i piani regolatori di fine Ottocento si doveva realizzare il porto merci per far attraccare le grandi chiatte che, provenienti dall’Adriatico e poi risalenti il Po, avrebbero imboccato un moderno canale artificiale a Cremona e sarebbero salite per servire Milano. La storica Darsena, quella in riva alla quale oggi facciamo l'aperitivo e che all'epoca era un porto attivissimo, non riusciva più ad accogliere le moderne imbarcazioni dal tonnellaggio maggiorato. All’inizio del Novecento così si cominciò sia a scavare il canale verso Cremona sia a realizzare le grandi darsene del nuovo porto, ma dopo non molto ci si rese conto che il progetto non era sostenibile: si affermava il trasporto su gomma, il Po non dava garanzie di adeguata portata d'acqua per le grandi imbarcazioni merci. Tutto bloccato e poi, negli anni Settanta, definitivamente annullato. Il grande invaso del Porto di Mare di Milano si riempì intanto di acqua di falda e diventò una specie di improvvisato lido urbano. Poi fu una discarica di calcinacci e infine un'area occupata da attività artigianali e produttive più o meno legali. Tutto avveniva sui terreni di proprietà del dismesso ente statale Consorzio del Canale Milano-Cremona. Si arriva fino al 2013 quando l'ente completa il suo percorso di liquidazione iniziato nel 2000 (tempi italiani...) e i terreni vengono ceduti dallo stato al Comune di Milano. Nel 2016, a seguito della presentazione dell'accordo tra Ministero dell'Economia e Comune, c'è un incontro tra l'allora sindaco Pisapia e l'allora ministero Padoan: "Nuova vita per Porto di Mare: parte la riqualificazione" titolava all'epoca MilanoToday.

Una riqualificazione bloccata

Cosa è successo da allora? Cosa ci ha portato al grande incendio di domenica 3 luglio? Ci si è messa di mezzo la burocrazia e il tribunale innanzitutto. Le attività artigianali che ora insistono su proprietà comunali sostengono di esser lì da così tanti anni da aver diritto all'uso capione. Il comune ha anche vinto alcune cause, ma la situazione è assai complessa. Se ci si avventura nell'area si trova una grande mezzaluna tra Via Fabio Massimo e Via San Dionigi di totale caos urbanistico. Un'escrescenza incastonata tra il meraviglioso Parco Cassinis e i primi palazzi della città: carrozzerie, magazzini di cassette di legno e plastica, impianti produttivi di sabbie, terre inerti e cementi, centri di demolizioni auto, impianti per la rivendita di vernici e altri prodotti chimici. E qualche impianto sportivo qua e là in mezzo a questo pasticcio. Insomma tutto quello che non ti aspetteresti in un'area così pregiata collocata in adiacenza ad un lussureggiante parco urbano protetto e a due passi dalla metropolitana e dalla stazione dell'alta velocità di Rogoredo. E soprattutto tutto ciò che non ti aspetteresti in terreni di proprietà pubblica dove dovrebbe essere più facile pianificare e decidere una strategia di sviluppo a vantaggio di tutti.

Come risolvere il nodo di Porto di Mare?

La speranza è che non tutti i mali vengano per nuocere e che il grande incendio stimoli il Comune ad accelerare quel processo di rigenerazione così enfaticamente annunciato nel 2016 e ad oggi non solo mai partito, ma neppure disegnato, ipotizzato, definito. Del resto l'attuale assessore all'urbanistica Tancredi ha studiato molto questo dossier quando era dirigente e il precedente assessore all'urbanistica Maran ha fatto inserire la zona in un ambito di sviluppo che prevede la presenza di una funzione civica di grande attrazione. Si tratta ora di combattere con maggiore determinazione la battaglia nei confronti di chi occupa questi terreni senza titolo (creando anche potenziali pericoli, come si è visto nelle ore passate), riprendere in mano la pianificazione e decidere quale identità assegnare a questo importante e strategico pezzo di città al confine tra Milano e la campagna agricola. Trovando, cosa non facile, un investitore che si faccia carico dello sviluppo di un'area ad oggi non così appetibile anche a causa delle bonifiche necessarie per procedere.

Progetti e idee 

Un quartiere sostenibile di abitazioni ad housing sociale? Un allargamento del parco Cassinis per trasformare la Via Fabio Massimo in un fronte del parco? In passato ogni scusa è stata buona per ipotizzare una trasformazione di quest'area marginale: cittadella della giustizia, cittadella dello sport, sede del nuovo stadio. Proposte non fattibili in un'area così adiacente a territori delicati e protetti. Un sogno per quest'area della città potrebbe essere, oltre ad una quota di residenze, un attrattore culturale. Un auditorium per la musica sinfonica sul modello del Parco della Musica di Roma (considerando che dall'altra parte della strada arriverà la nuova sede del Conservatorio)? Un museo d'arte contemporanea dedicato all'arte giovane (si doveva fare a CityLife e saltò)? O magari un inedito museo nazionale dedicato all'agricoltura, proprio in queste zone dove grazie ai monaci di Chiaravalle è sbocciata mille anni fa l'agricoltura moderna? Importante che se ne discuta e si cominci ad agire per davvero. Senza attendere il prossimo incendio.

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