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Non è affatto detto che Milano torni a essere quella di prima

Editoriale - Le gru lavorano incessantemente per cambiare lo skyline cittadino; ma non c'è alcuna garanzia che, nei prossimi anni, non rimangano cattedrali vuote. E alcuni gruppi internazionali, attivi a Milano, taglieranno centinaia di scrivanie in via definitiva

Come se la città si stesse risvegliando da un lungo letargo. Lentamente, a fatica, cercando di ripristinare vecchi automatismi ed equilibri. La Milano del post lockdown fa i conti con un futuro dai contorni sfumati e poco lucidi. Le gru che stanno cambiando per l'ennesima volta lo skyline cittadino lavorano senza sosta. Nascono nuovi grattacieli, nuovi centri direzionali, nuovi desk, per ora cattedrali deserte. Ne parliamo qui, oppure qui. Ma queste idee e progetti sono figli di un mondo non ancora bruscamente devastato dalla pandemia. Che ha ridisegnato, con velocità forzatamente fulminea, i luoghi di lavoro e la mobilità pubblica. Si cerca di evitare gli assembramenti ricorrendo a monopattini e bici elettriche, con una congestione solo marginalmente normata dal Codice della strada. L’impennata di incidenti è solo la prima conseguenza. Ma ce ne sono altre, sul tessuto urbano, ancora più impattanti.

Non è detto che Milano torni a breve a essere quella di prima. Il sindaco Beppe Sala lo ripete come un mantra da mesi. È stato un manager e conosce bene l’argomento. Il lavoro da remoto ha sconquassato abitudini e routine, e soprattutto tracciato il solco di una nuova organizzazione: per aziende e lavoratori. Sotto certi aspetti funzionale. Perchè piccoli, grandi segnali ci sono già. Secondo quanto risulta a MilanoToday da fonti qualificate, almeno due grandi gruppi internazionali, attivi nella finanza e nelle materie prime, hanno presentato in via ufficiosa piani per grossi ridimensionamenti delle sedi milanesi. Tagli di scrivanie nell’ordine del 30%, 40% sul totale. Attenzione: non si parla di prospettive che hanno vita sino alla fine dell’emergenza covid, che si spera coincida con la vaccinazione massiva. Sono prospettive definitive. Meno costi e meno spese, anche se a parità di personale. È quello che si sta facendo, inesorabilmente e a macchia d'olio, nella City londinese. Con tutto il peso di tali decisioni sull’indotto. 

Solo ora, dopo mesi di buio, bar e ristoranti stanno riprendendo a respirare in pausa pranzo. Ma in tanti non ce l’hanno fatta. E non hanno più alzato la saracinesca. L’inverno non sarà semplice. Non basteranno bonus e incentivi, che hanno già dimostrato farraginosa lentezza e limiti. Altri dovranno reinventarsi. Mancano all'appello migliaia di turisti e lavoratori pendolari: non sarà indolore.

La Milano pensata 10 anni fa potrebbe, semplicemente, non essere sufficientemente flessibile. Quell’hub futuristico rapido e frenetico di uffici e pendolari, residenze dormitorio in bilocali, mezzi pubblici capillari ed alta densità, allo stato attuale, non si sta rivelando la risposta più adatta. Si pensi alla linea blu M4: opera d’importanza vitale per Linate, city airport ora fantasma. Senza nessuna garanzia che la desolazione termini nel breve periodo. Il fatto che le periferie siano paradossalmente rifiorite, così come le città satellite dell’hinterland, meglio resistenti alle chiusure forzate, fa pensare a un domani più complesso che mai per il centro cittadino e aree come Tre Torri o Gae Aulenti. La sfida sarà proprio questa: riadattarsi il più velocemente possibile qualora, davvero, le cose non tornino più come prima. Milano, e i suoi abitanti, nella storia hanno già dimostrato di saperlo fare. L’ennesima sfida per la locomotiva d’Italia.  

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