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Martedì, 16 Aprile 2024
Attualità Forlanini / Via Corelli

Il dramma dei malati dentro il Cpr di via Corelli: mancano medici specialistici

I gestori del centro hanno chiesto aiuto al Naga che, però, ha rifiutato di entrare nella struttura: "E' un buco nero di diritti"

Sono in aumento gli atti autolesionistici all'interno del Cpr (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) di via Corelli a Milano. La situazione è sempre più critica anche sul fronte sanitario. Lo rende noto l'associazione Naga, a cui hanno chiesto aiuto le cooperative Versoprobo e Luna, che gestiscono il centro e hanno bisogno di medici volontari che effettuino visite specialistiche. Ma il Naga non ha accettato di entrare nel Cpr con i suoi professionisti e segnala che la richiesta d'aiuto conferma, ulteriormente, "l'assenza di un protocollo d'intesa tra la prefettura e le strutture sanitarie pubbliche, previsto dall'articolo 3 del regolamento Cie 2014. Un'assenza di estrema gravità". 

Per il Naga, i centri per il rimpatrio sono "un buco nero dei diritti, dove vengono rinchiuse persone solamente perché non posseggono un valido titolo di soggiorno. Non devono esistere - scrive l'associazione in una nota - e non intendiamo in alcun modo partecipare alle violazioni di diritti che avvengono al loro interno".

L'assenza del protocollo d'intesa tra prefettura e Ats milanese era stata già segnalata dal direttore del Cpr di via Corelli, Federico Bodo, a maggio 2021 con un'email indirizzata al garante nazionale dei detenuti e al garante dei diritti per la città di Milano. Gli ospiti, quindi, accedono alle visite specialistiche del servizio sanitario nazionale seguendo le normali liste d'attesa; ma per persone che rimangono nella struttura in un tempo limitato questo si traduce nel non poter essere visitati.

Bodo si dichiarava anche preoccupato per le condizioni psicologiche e psichiatriche delle persone rinchiuse e segnalava che i gestori del Cpr di via Corelli avevano avviato una collaborazione con Opera San Francesco che fornisce due psichiatri volontari, mentre "per le patologie più pericolose come gli atti di autolesionismo e i tentativi di suicidio - scriveva Bodo - ci riferiamo al pronto soccorso dei presidi sanitari sul territorio". Con un piccolo dettaglio: i pronto soccorso sono restii a diagnosticare qualcosa che possa determinare "l'incompatibilità con la vita in comunità ristretta". Infine, nononstante la precisa richiesta dei gestori del Cpr, non è mai stato attivato un protocollo per la presa in carico almeno dei pazienti tossicodipendenti o psichiatrici.

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