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La manifestazione: italiani, ucraini e iraniani insieme per la democrazia

Il corteo dal Giardino dei Giusti del Monte Stella fino alla zona San Siro, dove hanno sede i consolati dell'Iran e della Federazione Russa

Un corteo dal Giardino dei Giusti ai consolati dell'Iran e della Federazione Russa (inavvicinabili per disposizione delle forze dell'ordine). Lo ha organizzato il comitato Ponte Atlantico, con il suo animatore Davide Romano e alcuni membri della comunità ebraica milanese, ma non solo. La manifestazione si è svolta domenica pomeriggio e ha visto la partecipazione di italiani, ucraini e iraniani, uniti nella richiesta di democrazia e di libertà per l'Ucraina attraversata dalla guerra e per l'Iran, dove l'uccisione di Mahsa Amini ('rea' di non aver indossato correttamente il velo) per mano della polizia ha scatenato una protesta fortissima, che perdura da vari mesi, contro il regime di stampo religioso.

Perché a Milano non si può manifestare davanti ai consolati?

Manifestazione Iran-Ucraina (foto Melley/MT)

Il corteo, con la presenza di bandiere ucraine, iraniane e d'Israele, nonché di esponenti delle comunità cattolica, ebraica, musulmana, laica e della comunità Lgbt, è partito dal Giardino dei Giusti presso il Monte Stella. Ha attraversato le vie di QT8 scendendo fino in piazza Stuparich e poi verso piazzale Lotto. Primo obiettivo, il consolato iraniano di viale Monte Rosa. Ma la digos ha bloccato il corteo nel piazzale, dove si sono tenuti alcuni discorsi sulla situazione in Iran. Le attiviste hanno parlato di rivoluzione in corso, con lo scopo di rovesciare il regime integralista che guida il paese dal 1979.

Successivamente la manifestazione è proseguita fino a piazzale Segesta, a qualche decina di metri dal consolato della Federazione Russa, e anche in questo caso la digos ha fermato il corteo. I discorsi si sono qui incentrati sulla guerra che la Federazione Russa ha scagliato contro l'Ucraina a partire dal 24 febbraio 2022 e sulla necessità, da parte dell'occidente e dell'Europa in particolare, di continuare a stare dalla parte di Kyiv anche militarmente, perché una 'pace giusta' non può arrivare con la resa ucraina.

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