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Eleonora Dragotto

Giornalista

Non si può spegnere la movida

Tra residenti sul piede di guerra, locali preoccupati di recuperare le perdite e ragazzi desiderosi di festeggiare è necessario trovare un compromesso

Forse i più giovani non sanno che il termine 'movida' è nato nella Spagna post franchista. All'indomani del regime del Caudillo nacque la Movida madrileña, un movimento artistico e sociale che a partire dagli anni '80 promosse una cultura alternativa a quella imposta dalla dittatura e festeggiò la riconquistata libertà attraverso lunghe notti movimentate (da cui il nome), in cui i ragazzi si riversavano nelle strade e nelle piazze anche per tutta la notte. Non è un caso se a Milano negli ultimi tempi questo termine è così presente tanto nei discorsi dei cittadini quanto nelle cronache locali.

Abolito il coprifuoco e dimenticate le restrizioni imposte non da una dittatura militare, come accadeva in Spagna, ma dalla necessità di contenere la pandemia, sono molti i milanesi desiderosi non soltanto di tornare alla normalità ma di brindare alla vita scevra delle paure e degli incubi provocati dal virus. Complici anche la chiusura di alcuni locali e le alte temperature estive, si beve, si canta e si fa festa, a volte fino all'alba. Sono felici i ragazzi, che possono stare all'aperto grazie ai numerosi dehors creati in città. Sono soddisfatti i locali, che dopo tanti mesi di chiusura cercano di recuperare le perdite subite. In tutto questo però c'è un terzo attore che contento proprio non è. I residenti costretti a subire musica ad alto volume e grida fino a tarda notte, anche nei giorni infrasettimanali, chiedono a gran voce di mettere fine a tutto questo rivendicando il diritto di poter dormire sonni tranquilli.

Chi ha ragione? Tutte le parti si potrebbe rispondere, ma prima di farlo è bene fare un distinguo. I lanci di bottiglie, gli episodi di microcriminalità e, persino, le pesanti aggressioni che si sono verificate in Colonne non possono essere semplicemente classificati come 'movida'. E nell'associarli a questo termine sbagliano in primis giornali, un mea culpa è quanto mai necessario. Lo stesso dicasi per le furibonde risse tra gruppi di persone avvenute nei giorni scorsi, che poco hanno a che fare con il divertimento notturno. Piuttosto andrebbero indagate le ragioni per le quali il livello di violenza sembra in costante ascesa a Milano (e non solo), perché quella a cui si sta assistendo ha tutta l'aria di essere la manifestazione, esplosiva, di un profondo disagio sociale.

Tracciata una linea per lasciare fuori i 'figli deviati' della movida, è anche bene ricordare che i tempi in cui si urlava allo scandalo perché un gruppo di ragazzi si ritrovava dopo il coprifuoco sono finiti (si spera sempre). E quindi non ha davvero senso continuare a turbarsi (come qualcuno fa) davanti a qualcosa che oggi è totalmente legale. A questo punto, però, se il divertimento diventa così selvaggio da rappresentare una fonte di costante malessere per i residenti (come accaduto in Darsena e Porta Venezia), occorre addomesticarlo. Come? Civilizzando i festaioli attraverso regole e controlli. D'altro canto però giusto è stato l'invito del sindaco Beppe Sala alla tolleranza. "C'è bisogno di lavorare", ha detto lui. Dopo l'anno appena trascorso, c'è anche bisogno di uscire e festeggiare, si potrebbe aggiungere. Per questo non si può e non si deve, perché non sarebbe giusto, spegnere la movida. La si può però disciplinare, magari con controlli mirati nei quartieri sensibili e non restaurando una sorta di coprifuoco e imponendo divieti strigenti anche per gli stessi locali, come aveva proposto il Municipio 1. Così anche chi abita nelle zone predilette della vita notturna milanese sarà meglio disposto ad esercitare la propria pazienza. Del resto le lamentele dei cittadini infastiditi da musica, abuso d'alcol e rumori risalgono a molto prima del covid. Ma chi vorrebbe una Milano che di notte, per arrendersi al silenzio, smette totalmente di vivere?

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