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Da night club a spazio per la produzione di ostie: il reinserimento lavorativo passa dal bene confiscato

A Milano un laboratorio per dare lavoro a donne vittime di violenze ed esclusione sociale. Dove un tempo la mafia faceva affari

Nella periferia milanese, in una piccola traversa del lungo viale Monza, c’è una vetrata satinata piuttosto anonima. Si apre su una stanza dalle pareti arancioni, con un bancone, alcuni attrezzi e una scala che scende. Un tempo era un night club, ora vi si producono ostie per la Comunione.

Il progetto di inclusione

Ci sono due donne al lavoro, e una terza che ha finito il turno. Mentre lei si lava le mani, si cambia, saluta e se ne va, le colleghe continuano a lavorare. Una delle due versa un impasto giallo chiaro dentro una macchina che assomiglia molto a quella per fare le crepes. L’altra stampa delle forme circolari su dischi di impasto cotto. Intanto chiacchierano, dei figli e del futuro. Poi escono a fumare una sigaretta.

Nella loro vita ci sono state violenza ed esclusione. Ora, grazie a Fondazione Arché, c’è un presente di lavoro nella produzione artigianale di pane per l'eucarestia, nel loro confezionamento e infine nella distribuzione alle parrocchie della diocesi di Milano. Siamo al Laboratorio per la produzione di ostie Walter Tobagi. “È uno dei nostri progetti di inclusione lavorativa” spiega Paolo Dell’Oca, portavoce di Arché. “Lo portiamo avanti con la Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, che fa produzione di ostie con scopo sociale da tanti anni e in tutto il mondo, anche nelle carceri”. E infatti a occuparsi della formazione e della supervisione delle tre donne di questo progetto è un detenuto, che questo lavoro l’ha già fatto nel carcere di Opera. “È un’occasione di riscatto e di riavvicinamento al mondo del lavoro per quattro persone in difficoltà” dice Dell’Oca.

Il progetto qui è partito a ottobre 2020: lo spazio era dedicato ad altre attività, ma Fondazione Arché ha deciso di cambiargli destinazione anche per via della pandemia. “Essere donna, disoccupata e madre è molto difficile in tempo di pandemia” spiega Dell’Oca. “Abbiamo pensato che questo era il momento giusto per dare lavoro a chi ne aveva bisogno”. La ripresa dell’Italia dopo il Covid parte anche da qui, dagli ultimi e dagli invisibili. In questo caso, dalle ultime e dalle invisibili.

Il bene confiscato alla mafia

Lo spazio non nasce come laboratorio: prima era un night club e un luogo in cui la mafia milanese faceva scambi e chiudeva affari. Poi è intervenuta la magistratura, i locali sono stati sequestrati nel 2009 e messi a bando con finalità sociali. Fondazione Arché ha vinto quel bando e anche quello successivo del 2018 con un progetto per l’inserimento giovanile. E da ottobre 2020, come dicevamo, ha cambiato destinazione.

La confisca dei beni e dei patrimoni è uno strumento fondamentale per la lotta alla criminalità organizzata: lo garantisce anche l’Unione Europea, con il Regolamento per il riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e confisca, che è stato approvato nel 2018 ed è operativo dal dicembre 2020. Le misure emesse dalle autorità giudiziarie dei ventisette stati membri possono essere applicate in tutta Europa, confiscando beni di mafiosi che avevano esportato la propria attività. Questo importante strumento è stato già usato, a gennaio 2021: la polizia romena ha infatti sequestrato alcuni immobili  a un esponente della camorra salernitana che aveva delocalizzato parte dei suoi affari illeciti in Transilvania.

Stretta sulla criminalità organizzata, sarà più semplice confiscare beni anche in altri Stati Ue

“I beni confiscati sono un’occasione davvero speciale di rinascita” dice Paolo Dell’Oca, di Fondazione Arché. “Cose molto belle sono nate da attività e organizzazioni che avevano idee ma mancavano di uno spazio, e che l’hanno trovato grazie ai bandi per la riqualifica di spazi ex mafiosi”. A Milano da anni c’è il Festival dei Beni Confiscati, per sensibilizzare la popolazione e le autorità. “Ed è molto bello per i credenti il fatto che le ostie nascano in spazi così,  e dalle mani di persone che hanno sofferto tanto” conclude Dell’Oca.

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