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Martedì, 26 Settembre 2023

Eleonora Dragotto

Giornalista

Non basta mettere un pacchetto di sigarette a 10 euro

Attraverso una petizione inviata al parlamento la Fondazione Umberto Veronesi di Milano ha proposto di portare il prezzo di un pacchetto di sigarette ad almeno 10 euro per ammortizzare i costi sociali e ambientali del tabacco

Ad Amsterdam la rete di negozi dall'emblematico nome 'True Price' vende i prodotti al loro costo reale, ovvero quello di mercato più quello sociale e ambientale. Comprare la carne, un alimento dall'enorme impatto sul pianeta, ad esempio, è molto caro. Ma quanto costerebbe il tabacco se fosse in vendita sugli scaffali di queste botteghe? A porre quasi la stessa domanda è la Fondazione Umberto Veronesi di Milano che ha sottoposto al Parlamento una petizione per portare il prezzo di un pacchetto di sigarette ad almeno 10 euro.

La proposta non è stata accolta molto positivamente dai tabagisti, la cui ira funesta si abbattuta sui social adducendo infiniti commenti risentiti. Ma a cosa servirebbe aumentare il costo del tabacco? La Fondazione Umbero Veronesi lo spiega così: ""Si stimano 8 milioni di decessi dovuti al tabagismo ogni anno, di cui quasi 900mila provocati dal fumo passivo. In Italia si attribuiscono al fumo di tabacco oltre 93mila morti l’anno, circa 43mila per tumore. Più di un quarto dei decessi riguarda persone ancora giovani, fra i 35 ed i 65 anni di età. Il prezzo umano è altissimo e quello economico è stimato oltre i 26 miliardi di euro, se si considerano costi diretti sulla spesa sanitaria e costi indiretti legati alla perdita di produttività per malattia o decessi".

Portare il prezzo di un pacchetto di sigarette fino a 10 euro, secondo la Fondazione (che cita l'esempio di altri Paesi dove ciò è già avvenuto), mobilizzerebbe risorse per la ricerca, per curare chi a causa del tabacco si ammala e chi vuole smettere di fumare, oltre a contribuire alla diminuzione del consumo soprattutto tra i giovani. Giovani che, in base a un'analisi dell'Istituto superiore di sanità fatta con l'Istituto farmacologico Mario Negri, durante la pandemia hanno continuato a fumare: uno su tre tra i 14 e i 17 anni ha già avuto un contatto con il fumo di tabacco e quasi il 42 per cento con la sigaretta elettronica.

Diversi invece gli effetti del virus sul tabagismo degli under 50: uno studio, su un campione di mille persone, del Centro antifumo dell'Istituto nazionale dei tumori pubblicato in occasione della Giornata mondiale senza tabacco, ha evidenziato una diminuzione dei fumatori. Uno su 10 - annota l'istituto - ha smesso di fumare e nel complesso durante la pandemia è aumentata la voglia di dire addio alle sigarette. Nota dolente invece per gli ex fumatori: per l'Int lo stress associato al covid ha esposto uno su sette al rischio di ricaduta; mentre un fumatore su tre ha aumentato il numero di 'bionde' fumate al giorno.

Fumatori e non fumatori, gruppi quasi sempre alla stregua di compartimenti stagni e in conflitto tra loro, concorderanno almeno su un fatto. Il tabacco è associato a malattie molto gravi e anche mortali, pertanto ridurne il consumo porterebbe benefici tanto ai diretti interessati, che sarebbero meno esposti al rischio di patologie, quanto all'intera comunità, che verrebbe sgravata da spese sanitarie e di smaltimento dei mozziconi, notoriamente molto inquinanti. Ma duplicare il prezzo di un pacchetto di sigarette rendendo sempre più simili i tabacchini a gioiellerie servirebbe davvero a convertire i fumatori? Paolo Veronesi, presidente della Fondazione omonima, non ha dubbi e a chi critica la proposta sostenendo che penalizzi i cittadini più poveri risponde così: "Ad alcuni aumentare le tasse può sembrare una misura che penalizza i più deboli, ma occorre essere realistici: sono loro che stanno pagando il prezzo più alto in termini di malattia, disabilità e impoverimento dovuti al fumo. È il fumo che aumenta le disuguaglianze, non l’accisa. Alzare il prezzo del tabacco significa proteggere le persone, incrementare le risorse per curare, aiutare a smettere di fumare, condurre ricerche indipendenti".

Il ragionamento funziona e la proposta potrebbe plasmare i consumi con dei concreti vantaggi per la collettività. D'altro canto se a pagare di più fossero soltanto i fumatori, un attore molto importante verrebbe lasciato fuori, totalmente impunito, almeno in modo diretto. Se il fumo è un problema dalle pesanti ricadute per tutta la comunità, perché non tassare direttamente le aziende che producono tabacco? Scaricare tutta la responsabilità - e l'aumento dei costi - sul solo utilizzatore finale, il quale peraltro è dipendente dalla sostanza quindi la sceglie solo fino a un certo punto, non sembra una misura orientata a quell'equità sociale che, a livello europeo, si dice di voler vedere presto realizzata. Bene ha fatto quindi la Fondazione Veronesi ad aprire un dibattito sul fatto che il tabacco - così come altri prodotti dagli elevati costi sociali e ambientali, inclusi alcuni alimenti - dovrebbero avere un prezzo più alto. La lotta al fumo però non può essere solo guerra ai fumatori. E se città come Milano, come annunciato dalla giunta Sala, vogliono diventare smoke-free (e magari, si spera in un futuro non troppo lontano, plastic e carbon-free) ad essere tassata e penalizzata deve essere in primis l'industria che sul tabacco (e sulle morti che continua a provocare) ha costruito la sua immensa fortuna.

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