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Massimiliano Tonelli

Direttore Editoriale CiboToday

Rincarano biglietti Atm ma non Area C: così Milano deraglia

Una città che tassa chi prende i mezzi pubblici e tutela all’inverosimile chi si sposta con l’auto privata è una città che non ha capito dove stanno andando tutte le migliori metropoli internazionali

Toccatemi tutto, ma non gli automobilisti. Si potrebbe parafrasare un celebre slogan di qualche anno fa per sintetizzare questa bizzarra tendenza milanese degli Anni Venti. Una tendenza che porta Milano a percorrere una rotta controcorrente rispetto alle altre città occidentali che guidano lo sviluppo sostenibile di questo periodo storico. 

Questo smarrimento si conferma dopo i primi dibattiti riguardanti il difficile bilancio della città che andrà approvato nelle prossime settimane. Un significativo buco di decine di milioni dovuto a inflazione e crisi energetica obbliga l’amministrazione a tagliare servizi e aumentare tariffe. Par che tutto si possa toccare, fuorché l’auto privata. E allora si rincarano i biglietti di chi si sposta con il mezzo pubblico, si taglia sulle case vacanze, si aumentano perfino le rette delle mense scolastiche. Tutto, ma non il risibile ticket dell’Area C. La congestion charge applicata per chi entra nel cuore della città con l’auto è ferma a 5 euro, una cifra talmente bassa che fa fatica a ripagare il funzionamento stesso del sistema, della rete, delle telecamere, della burocrazia, della manutenzione. Il provvedimento si ispira alla città di Londra, dove però la somma da sborsare se proprio si insiste a transitare in macchina in centro è pari a 20 euro, il quadruplo. Ciononostante “escluda qualsiasi aumento almeno sull’Area C nella prima parte del 2023” ha assicurato il sindaco mentre tagliava tutto il resto e aumentava i costi delle mense scolastiche per “adeguamenti all’inflazione”. Non si capisce però perché i 5 euro dell’Area C sembrino magicamente esenti dall’inflazione: sono sempre i soliti 5 euro dal 2012…

Le scelte del Comune a favore delle automobili

Ma questa ennesima scelta culturalmente e concettualmente fuori dal coro rispetto alla musica che si suone in tutte le grandi metropoli europee non è l’unica e arriva al termine di un anno debolissimo riguardo le politiche di mobilità sostenibile. Nuove preferenziali protette? Nuove ciclabili? Nuove tramvie? Asservimento semaforico per i mezzi pubblici? Liberazione dei marciapiedi dalla sosta selvaggia? Tutto è fermo o drammaticamente lento. Nello sguardo di fine anno sui progetti del 2023 il sindaco parla di una M4 che arriverà finalmente a San Babila: vero. Ma si tratta di un un progetto di 15 anni fa, se oggi non si mettono in cantiere nuove progettualità quali infrastrutture inaugureremo tra 15 anni? Col completamento della M4 Milano si troverà dopo decenni a non avere nuove linee in costruzione o in progettazione benché la M6, su un asse nord ovest sud est, sia indispensabile per chiudere la maglia della rete. Anche qui la visione prospettica sul futuro sembra andata a farsi benedire.

Una città che non punta sulla sostenibilità è una città che declina

Facile prevedere cosa comporterà questo andazzo se non verrà rapidamente corretto. Una città che tassa chi prende i mezzi pubblici e stende tappeti rossi a chi usa l’auto è una città che parla una lingua incomprensibile rispetto al resto del mondo evoluto. Una città dunque che smette di attirare classe creativa, che smette di attirare investimenti e nuova residenzialità internazionale. È come se qualcuno, archiviata la buona crescita avuta da Milano nell’ultimo decennio, abbia deciso che ci si poteva fermare, smetterla di evolvere, interrompere il recupero e l’allineamento con le migliori esperienze globali. Ma per quale strano motivo abbiamo smesso di seguire il percorso tracciato da Parigi o da Barcellona, città che ogni settimana compiono scelte coraggiosissime sulla mobilità? Cosa è successo?

Perfino gli automobilisti più accaniti, magari sollevati dal vivere in una Milano che sembra essersi arresa a renderli meno padroni assoluto dello spazio pubblico, dovrebbero allarmarsi. Perché una città che rinuncia a diventare davvero sostenibile è una città in cui l’economia rallenta e in cui lo sviluppo si impantana. Con conseguenze nefaste per tutti, anche per chi ama sfrecciare in centro col suv e posteggiarlo sui marciapiedi.

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