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Prostituzione e abbigliamento, Cassina de' Pecchi in trincea: l'amministrazione va avanti

Il nuovo regolamento di polizia urbana introduce (come già altrove in Italia) il discrimine dell'atteggiamento e dell'abbigliamento per l'identificazione di chi esercita la prostituzione. E il Comune si difende dalle polemiche: «Noi perseguiamo le prostitute, non chi si veste come vuole»

Il caso è diventato nazionale. E forse immeritatamente: come abbiamo già sottolineato dandone notizia, citare l'abbigliamento in una disciplina di polizia urbana riguardante la prostituzione è un fatto piuttosto comune in Italia. La frase che l'amministrazione di Cassina de' Pecchi intende inserire nel suo regolamento, in approvazione il 30 aprile, si ritrova tale e quale in altri regolamenti di polizia urbana o in ordinanze specifiche sul fenomeno prostitutivo. Evidentemente è una frase che, ai sindaci, piace. E, va ribadito, ai sindaci di vari colori politici.

Così il Comune di Cassina de' Pecchi, 14 mila abitanti lungo la Martesana, si ritrova in trincea per qualcosa che non ha inventato, ma che ha comunque scelto di riprodurre, diremmo copia-incollare, pensando forse che, se già è applicata altrove, funziona. E sceglie di difendersi contrattaccando, dichiarando che lo scopo è unicamente «recepire all’interno del regolamento di polizia urbana del nostro Comune una norma avente ad oggetto quanto è già legge in Italia, ovvero il divieto di sfruttare e/o favorire la prostituzione. Maschile e femminile».

La difesa del Comune di Cassina

«Nessuno - prosegue l'amministrazione - ha mai parlato di minigonne o vestiti femminili da vietare! È davvero stucchevole la pochezza di chi ha volutamente stravolto il significato della nostra proposta a scopi meramente politici. Ogni donna come ogni uomo può circolare vestita/o come desidera sul nostro territorio. Ciò che la legge vieta è il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione». Solidarietà alla sindaca Elisa Balconi e alla maggioranza (leghista) è arrivata da Riccardo Pase, consigliere al Pirellone per il partito di Salvini, secondo cui «l'accenno all'abbigliamento è esclusivamente in relazione allo svolgimento di attività che sono collegate all'esercizio della prostituzione»; l'esponente leghista parla di «tentativo di fare polemica a discapito dell'immagine di un primo cittadino donna».

La frase sull'abbigliamento

Ricordiamo che l'articolo sotto accusa, non ancora approvato, recita così:

«Contrarre ovvero concordare prestazioni sessuali oppure intrattenersi, con soggetti che esercitano attività di meretricio su strada o che, per atteggiamento, ovvero per l’abbigliamento ovvero per le modalità comportamentali manifestino comunque l’intenzione di esercitare l’attività consistente in prestazioni sessuali. Se l’interessato è a bordo di un veicolo la violazione si concretizza anche con la semplice fermata al fine di contattare il soggetto dedito al meretricio; consentire la salita sul proprio veicolo di uno o più soggetti come sopra identificati costituisce conferma palese dell’avvenuta violazione del presente comma».

Focalizzandoci sul solo abbigliamento, la frase suona così: «Intrattenersi con soggetti che, per l'abbigliamento, manifestino l'intenzione di esercitare prostituzione». Nessuno mette in dubbio che la sindaca di Cassina voglia "colpire" l'intrattenersi con la prostituta in strada (anche se le andrebbe ricordato che questo fanno anche i volontari delle associazioni anti-tratta), ma l'italiano è italiano: quella frase significa che vi sarebbe un modo di vestirsi "da prostituta", altrimenti non sarebbe possibile manifestare quest'intenzione "per l'abbigliamento".

L'amministrazione, nella sua replica, preferisce concentrarsi sull'intenzione di combattere sfruttamento e favoreggiamento, cioè comportamenti che sono già reati penali: esisterebbe dunque già uno strumento di legge e forze dell'ordine preposte a farla rispettare. Nella realtà, invece, la formula allarga il ventaglio. Introduce fattispecie ulteriori rispetto alla legge («contrarre o concordare prestazioni sessuali»), specifica che «atteggiamento» e «abbigliamento» sarebbero un discrimine per capire se si esercita prostituzione o no. Le intenzioni saranno ottime; dalla lingua italiana però non si scappa. 

Il dibattito sulle delibere e ordinanze restrittive è aperto, da tempo, non soltanto per le formule usate ma anche per gli scopi perseguiti. L'intenzione dichiarata parrebbe quella di "espellere" la prostituzione dal proprio territorio comunale: «La prostituzione è una forma ignobile di schiavitù, sia delle donne sia degli uomini, che questa amministrazione combatterà con tutte le forze a propria disposizione», si legge nella dichiarazione ufficiale del Comune. La giunta di Cassina va quindi oltre ciò che la legge già vieta (sfruttamento e favoreggiamento), rinuncia a cercare vie originali per regolare il fenomeno e preferisce, invece, dichiarare di combatterlo. Il 30 aprile si annuncia battaglia in consiglio comunale.

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