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Il drive-through della droga a San Siro e l'ufficio che smista gli alloggi abusivi

Abbandono, criminalità e incuria si intrecciano con street art e trap, tra rassegnazione e speranza. Viaggio nelle viscere del quartiere | Longform, seconda puntata

Camminando per San Siro, l'impressione più immediata è quella di un quartiere recuperato a metà. Ci sono vie in cui a sinistra vedi facciate scrostate, talvolta mai sistemate da decenni, mentre a destra sono perfette, dignitose, anche belle a vedersi. È lo specchio della realtà: quando c'erano, i soldi dei "contratti di quartiere" (la formula ideata da Aler e Comune per definire il recupero delle periferie popolari) finivano presto, non bastavano per ristrutturare ogni palazzina. Chi vive in quelle rimesse a posto è semplicemente fortunato. Gli altri attendono e, intanto, piovono pezzi di intonaco sulla testa.  

Don Claudio, il sacerdote che accoglie i giovani fragili di San Siro: "I ragazzi cattivi non esistono". Video della seconda puntata

A fare da contraltare al profondo baratro lasciato dalle istituzioni sono le tante realtà associative che animano il quartiere grazie all'attività, spesso volontaria, di persone operose che arrivano a realizzare progetti interessanti e dall'impatto reale. Tra queste il centro sociale Micene, nella via omonima: uno spazio tanto piccolo quanto aperto a chiunque, "purché antifascista", come precisa Romano, uno dei suoi fondatori, facendoci l'occhiolino. La situazione del Micene è "in stallo" e, attualmente, Aler non rivendica lo spazio che, del resto, probabilmente non saprebbe in che modo occupare. Le attività proposte vanno dal doposcuola per bambini e ragazzi alle cene, passando per le proiezioni cinematografiche e i battesimi. Qui c'è chi vede nella reazione dei giovani che hanno lanciato sassi agli agenti della polizia una forma di protesta disorganizzata di fronte "all'unica risposta, la coercizione, che lo Stato ha saputo dare al loro profondo disagio sociale, che si è aggravato durante la pandemia". L'idea dei frequentatori del Micene è che la situazione sia talmente esplosiva che è stato un puro caso che la ribellione sia scaturita durante le riprese del video di un trapper. "Il quartiere - ci dicono -, dalla giunta Moratti in poi, si è trasformato in una discarica sociale, una vera fogna. I ragazzi vengono lasciati da soli in mezzo alla strada, mancano centri di aggregazione e, nonostante l'altissimo numero di malati psichiatrici, non c'è nemmeno una struttura per curarli". 

"Dove abito io - ci confida una signora assidua frequentatrice del centro sociale - la metà di ogni scala è vuota. Poi si fa la lotta contro gli occupanti, ma il vero problema è che ci sono case vuote e le spese sono comunque da pagare, ricadendo sugli altri inquilini. Io vivo con 600 euro di pensione sociale, 300 li pago di affitto, di cui 200 di spese condominiali. E questo senza che Aler faccia alcun tipo di intervento: ho la casa che mi cade in testa. Gli unici edifici ristrutturati, con le facciate tinteggiate, sono quelli in autogestione: sono stati gli inquilini a farsi carico dei lavori. Invece di riparare gli edifici, è da 10 anni che Aler paga le impalcature a noleggio per proteggere dai calcinacci che continuano a cadere...".

San Siro tra degrado e arte (foto Dragotto, Mannu/MilanoToday)

Il racket delle case

L'occupazione abusiva degli alloggi popolari è diventata lo specchio dei bisogni primari delle nuove povertà. A San Siro resistono due atteggiamenti contrapposti. Quello del "comitato di quartiere", di sinistra moderata, interlocutore privilegiato (ma non sempre ascoltato) delle giunte Pisapia e Sala, contrario alle occupazioni, e quello degli "abitanti di San Siro", comitato concorrente animato dal centro sociale Cantiere, che combatte gli sgomberi ed è solidale con gli occupanti. Il circolo vizioso è piuttosto lampante per chi conosce bene la zona. La mancanza di cura ha prodotto un disfacimento fisico delle case e dei palazzi. Gli alloggi hanno iniziato a restare vuoti per mesi, magari con i riscaldamenti accesi perché così vuole la regola di Aler.

Quando le banche concedevano mutui quasi a chiunque, la vendita di alcuni appartamenti da parte di Aler sul mercato privato ha prodotto una ripopolazione parziale del quartiere con un sistema di subaffitti. In breve si è innescato il meccanismo delle occupazioni abusive, soggette a vari racket, gestiti da stranieri e italiani, e con varie modalità: c'è chi "vende" la casa per qualche migliaio di euro e c'è chi, invece, vuole molto meno per "aprirla", ma poi pretende un "affitto" mensile. Tutto illegale, ovviamente, ma abbastanza alla luce del sole. Qualche anno fa, a conclusione di una grossa indagine del Commissariato Bonola, è emerso che il gestore del racket di turno aveva l'ufficio al tavolino di un bar di piazzale Selinunte: entravi, chiedevi, nel giro di qualche giorno avevi l'alloggio. Tutto semplice e diretto.

Non è altrettanto facile se si segue la via legale. Aler e il Comune, proprietari delle case popolari in città (a San Siro solo Aler), hanno un certo numero di alloggi sfitti che restano vuoti per mesi. Perché assegnarli è un costo (di ristrutturazione, ad esempio). E le procedure introdotte tre anni fa dalla nuova legge regionale, che prevedono singoli bandi quando vengono messi a disposizione gli alloggi, hanno complicato le cose per chi vuole parteciparvi: tante domande anziché una sola. Per fortuna, questo problema sembra essere in via di soluzione con il ritorno al vecchio sistema della graduatoria unificata.

Ma un alloggio vuoto fa gola al racket e "serve" a chi non ha casa. Così si attiva il meccanismo illegale. Il risultato è che i conti di Aler, all'interno di un contesto ricco come quello di Regione Lombardia, sono sempre più dissestati e l'azienda finisce con il non assolvere più al suo compito istituzionale, quello di garantire un alloggio dignitoso a chi ne ha diritto per legge. Perché le case di San Siro sono sempre meno decorose, nonostante gli accoglienti e ampi cortili degli anni '30 con spazi verdi che i condominii privati se li sognano. "L'impalcatura del mio palazzo serve ad impedire che cadano pezzi di facciata sulla testa di chi cammina sotto", ci dice la signora che frequenta il Micene, quella che versa ad Aler metà della sua pensione sociale. 

"Arrivavi in auto, lo spacciatore veniva e ti dava la droga"

Al Micene si fa anche politica. Vi si riuniscono gruppi diversi, tutti di sinistra, ma non necessariamente con gli stessi obiettivi, metodi e visioni del mondo. "Questo è sempre stato ed è ancora uno spazio aperto a sigle e associazioni che ne hanno bisogno", commentano i membri più anziani ricordando com'è nato il centro: dall'idea di Franco, detto 'Rocky', Romano e altri di realizzare iniziative per i disabili. Iniziative poi non partite per vari intoppi; ma intanto era stato trovato un luogo da far rinascere, che era stato un negozio di prossimità (di quelli che, ormai, non esistono più) e poi una sezione del Partito comunista. Era la fine degli anni '80 e quartiere di San Siro totalmente diverso dal punto di vista antropologico, abitato prevalentemente da operai e pensionati. Via Micene, senza numeri civici (c'è un'iniziativa in corso per intitolarla a Giuseppe Pino Pinelli, che abitava poco lontano), era la strada ideale per una delle attività più redditizie di quell'epoca: lo spaccio di eroina. 

"Arrivavi in auto e non scendevi nemmeno, lo spacciatore veniva e ti dava la droga - raccontano Franco e Romano -. Ovviamente gli davamo fastidio. Ci sono stati problemi con chi gestiva l'eroina. Ma non con gli abitanti, anche se facevamo feste fino a tarda sera. Cercavamo di non disturbare il sonno". In via Micene c'è un'aiuola che si prova a tenere ben curata, sui muri le scritte contro "ogni guerra". Un tempo la politica aveva una forza aggregatrice che oggi non esiste più. Le sezioni del Pci, nei quartieri operai, erano sempre piene. Con la rivoluzione informatica sono cambiati i processi produttivi. Il proletariato stesso, quello della catena di montaggio, è quasi scomparso. Si è ingrandita la classe media. I poveri non cercano più risposte nei partiti che analizzano i rapporti di classe come oppressivi. Non è un mistero che, a San Siro, tra gli operai in pensione italiani, vada forte la Lega. 

Del resto, il nuovo proletariato di San Siro è soprattutto di origine straniera. L'afflusso di migranti, iniziato negli anni '90 contemporaneamente alla vendita, da parte di Aler, di alcuni appartamenti, è stato dapprima in sordina. I politici cittadini se ne sono accorti quando le scuole elementari del quartiere hanno cominciato ad essere quelle a più alta concentrazione di alunni stranieri. Un problema per alcuni, una sfida per altri. Comunque il segno che crescevano le seconde generazioni. Crescevano in appartamenti piccoli, famiglie numerose, abitudini diverse, nuovi lavori: non più la catena di montaggio ma l'arrangiarsi vendendo al mercato, i cantieri a giornata, le occupazioni ad ore. La segmentazione: egiziani da una parte, altri nordafricani dall'altra, da ultimo i rom. Il playground di piazzale Selinunte è diventato il centro del mondo per questi ragazzi che, più di altri, sono a rischio abbandono scolastico. Abituati ai lavori precari dei genitori e dei fratelli maggiori, trovano nella strada e nella piazza il senso di comunità con i coetanei e anche spazi più grandi dove trascorrere il tempo, rispetto ai mini alloggi. Il rap diventa il collante e lo strumento. Il rap ha i suoi modi di dire, di muoversi, di osservare il mondo, di rapportarsi con gli adulti e l'autorità; a volte un po' di retorica affiora nelle rime facili ("madama, lama"), ma la vita cruda raccontata nelle canzoni è simile a quella realmente vissuta, o vista, fin dall'infanzia.

"I ragazzi cattivi non esistono"

Al netto delle difficoltà vissute dagli abitanti più giovani della zona, il loro potenziale è davvero ricco. A dirlo Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria che incontriamo nella comunità Kayros di Vimodrone di cui è direttore. Secondo lui i ragazzi cattivi non esistono e a volte basta la guida di un educatore per trasformare il loro rancore in qualcosa di positivo. "Uscendo dal Beccaria, io sono passato a San Siro pochi istanti prima che arrivassero le sirene - ci racconta ricordando il giorno della sassaiola contro la polizia -. I ragazzi erano andati lì per assistere alle riprese del video e non si aspettavano che si presentasse così tanta gente (molti infatti sono venuti da fuori San Siro). C'era un assembramento di circa 300 persone, cosa ovviamente perseguibile in base alle normative anti covid; poi però il dispiegamento di forze da parte della polizia è stato esagerato. Ancora una volta, sembra che la forma repressiva sia l'unica per risolvere i problemi. Io non giustifico loro né quello che hanno fatto, che è sicuramente da condannare, ma non credo che lo Stato debba ricorrere unicamente alla coercizione. Certamente il loro risentimento e la loro rabbia esplosiva, che poi si riversa anche nelle canzoni, deriva da percorsi d'infanzia molto difficili".

Reportage. A San Siro il rap diventa espressione del malessere giovanile

"Sono ragazzi arrabbiati  - prosegue don Claudio -, perché hanno avuto un rapporto con le istituzioni molto conflittuale fin da quando sono nati". Le opportunità offerte per chi nasce e cresce nei quartieri Aler di Milano sono davvero poche, basta visitarli per rendersene conto. Alle difficoltà economiche e sociali, per molti bambini si aggiungono quelle legate all'allontanamento dai nuclei familiari. Nei casi peggiori, poi, ancora giovanissimi, alcuni di questi ragazzi finiscono in carcere. "Ho un amico, mi passa a prendere/ Due amici mi fanno da scorta/ Un paio di amici fanno il mestiere/ Tre amici morti per strada/ Ho qualche amico chiuso in galera", canta Neima Ezza. E anche il cappellano del Beccaria parla di San Siro come di un vero e proprio ghetto segnato da profonde diseguaglianze sociali e povertà assoluta: non è un caso se i trapper della zona guardano alle banlieue parigine come a un vero e proprio riferimento.

Don Claudio conosce tutti i rapper del collettivo Seven7oo, anche perché alcuni di loro sono passati dal Beccaria o da Kayros. Quando gli chiediamo di Neima Ezza ci dice che lui, tra tutti, è sicuramente un bravo ragazzo, "andava persino in oratorio", ricorda. Altri giovani trapper come Baby Gang (anche lui presente durante la sassaiola), ci dice, hanno una storia molto difficile alle spalle. C'è chi ancora bambino è stato affidato a delle comunità e da allora vede lo Stato come nemico, sentimento a cui dà voce nelle sue canzoni e che sancisce il suo successo: questi giovani con i loro messaggi diventano simboli di riscatto per tutti i reietti.

"San Siro - continua Burgio - è una concentrazione dei disagi della nostra Milano, disagi che, come mi diceva un papà con cui parlavo, si trasmettono di generazione in generazione. Il lavoro, molto spesso, manca e la dispersione scolastica, fortissima, è uno dei problemi più gravi di questo quartiere". Nell'incontro che ha visto due trapper, accompagnati da don Claudio, incontrare il sindaco di Milano, Beppe Sala, i ragazzi hanno cercato di spiegare il proprio punto di vista nel tentativo di avviare un dialogo che crei qualcosa di positivo per i loro coetanei. La loro proposta, che potrebbe essere un ottimo punto di partenza, è quello di dare vita a un centro di aggregazione. Se venisse realizzato, questo spazio potrebbe essere il primo passo per rendere San Siro un quartiere più adatto a ragazzini e adolescenti che ora spesso passano tutto il giorno per strada. "Per funzionare - sottolinea Burgio - questo tipo di iniziative non devono calare dall'alto come un'imposizione, ma essere plasmate sulle richieste che, dal basso, sorgono spontanee".

Il 26 maggio la terza e ultima puntata

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