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Ritorno di Silvia Romano, il parroco al Casoretto: "Nessuno sa cosa ha vissuto, ci vuole profondo rispetto"

La ragazza ha fatto ritorno a casa questo pomeriggio. L'intervista al sacerdote del quartiere

È arrivata a casa nel pomeriggio di lunedì 11 maggio, verso le 17, Silvia Romano, la cooperante 24enne rapita in Kenya il 20 novembre 2018, e liberata questo sabato. Accompagnata dalla madre e dalla sorella, la ragazza è stata scortata dalla polizia fino al portone del suo palazzo, per evitare l'assalto di fotografi e giornalisti. Ad accoglierla l'applauso di amici, vicini e residenti.

Dopo le polemiche sulla sua conversione all'Islam e il suo arrivo a Fiumicino con un abito tradizionale somalo, a parlare di lei chiedendo rispetto è don Enrico Parazzoli, parroco di Casoretto, quartiere che ha celebrato la notizia della liberazione tra canti, applausi e lacrime di gioia. MilanoToday l'ha intervistato. 

Come hanno reagito i residenti quando è stato annunciato che Silvia era finalmente libera?

"Io sono parroco dell'Abbazia Santa Maria Bianca della Misericordia in Casoretto da solo un anno, quindi non conoscevo Silvia direttamente. Ma ho percepito nei suoi coetanei e nei suoi vicini il desiderio che tornasse. L'ultima volta che si era parlato di lei pubblicamente era stato a novembre, in occasione dell'anniversario del rapimento. Quindi l'annuncio è stato inaspettato. Quando è arrivata la notizia c'è stata una vera e propria esplosione di allegria".

La ragazza frequentava la chiesa?

"Era stata animatrice nell'oratorio della Parrocchia di San Giovanni Crisostomo, in via Padova. Aveva frequentato la parrocchia per un po'. Poi la vita l'ha portata lontano. Ha scelto di studiare mediazione linguistica e si è impegnata sempre di più nel volontariato, soprattutto quello con i bambini".

È stata criticata anche la sua scelta di suonare le campane...

"Casoretto, come alcuni quartieri di Milano, è un po' un paesone, si ha la sensazione di conoscersi tutti, anche se in realtà siamo in molti. La chiesa è un po' al centro di questa comunità e le campane volevano esprimere quello che gli abitanti del Casoretto stavano pensando in quel momento: 'Bentornata Silvia!'".

Cosa spera adesso per Silvia?

"Spero per lei che mantenga nell'animo il desiderio di fare del bene. Ma sono certo che lo farà. E spero quello che ha detto lei stessa, ovvero che possa passare tanto tempo con la sua famiglia per recuperare la fatica di un anno e mezzo di prigionia, che al di là delle condizioni in cui è avvenuta è comunque un'esperienza traumatica. Proprio per questo bisognerebbe che ci fosse nei confronti di questa ragazza e di quello che ha vissuto un principio di profondo rispetto". 

Rispetto che visti i titoli di alcuni giornali e i commenti di una parte degli italiani sembra proprio mancare...

"Mi ha colpito quello che ha detto la giornalista Giuliana Sgrena, che ha vissuto un'esperienza simile. Ha detto 'sono contenta sia tornata. Ora inizia la fatica'. Sono situazioni in cui non si può giudicare. Non sappiamo quello che ha vissuto. E in momenti del genere ci si aggrappa a quello che si ha. Si vive nell'angoscia e per sopravvivere ci si deve adeguare".

Cosa ne pensa della sua conversione?

"Non sappiamo come sia avvenuta. Alcuni si chiedono chi glielo ha fatto fare. Forse inconsciamente ha pensato 'mi posso fidare di loro e loro più di me se capisco la loro religione'. Forse il Corano era il primo libro religioso che leggeva seriamente e vedendosi circondata da persone molto credenti si è convinta. In ogni caso nutro il massimo rispetto per la sua scelta".

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