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T'el see che a Milan... ?

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A cura di Enea Rossini

A Milano ci sono diverse parole per dire nebbia

In italiano c'è solo una parola che indica la nebbia: nebbia, per l'appunto. Non è così in dialetto milanese dove i termini per indicare il fenomeno atmosferico sono più di uno e indicano diverse intensità del fenomeno.

Per fare chiarezza abbiamo consultato uno dei vocabolari più autorevoli della lingua milanese: la seconda edizione del dizionario Milanese-Italiano pubblicato da Hoepli nel 1896, manuale scritto da Cletto Arrighi (al secolo Carlo Rigetti), uno dei massimi esponenti della scapigliatura milanese; manuale che nonostante i suoi 126 anni è ancora in vendita.

I termini che indicano nebbia, secondo Arrighi, si possono dividere sostanzialmente in due macro categorie: nèbbia e scighera.

Il termine nèbbia è più generico e si può usare sia per indicare il fenomeno in sé ("Vegnì, sù o giò, la nèbbia": Il tempo si è annebbiato), oppure, se rafforzato, può indicare un fenomeno intenso ("Ona nèbbia che se pò taia còn el cortell": Una nebbia che si può tagliare con il coltello). Sempre da nèbbia deriva il termine nebbión che significa nebbia fitta, "nebbione".

Con la parola scighera (/sci-ghé-ra/, pronunciato [ʃi’ge:ra]), invece, si intende già una nebbia molto intensa. La parola ha una etimologia tutta sua e deriverebbe direttamente dal latino caecus (cieco) e indica proprio qualcosa che acceca, che impedisce di vedere oltre il naso. Situazione che si verifica sempre più di rado all'ombra della Madonnina ma che in diverse zone dell'hinterland è realtà in determinate giornate tra novembre e dicembre. Scighera, inoltre, può subire diverse declinazioni che aumentano o diminuiscono la "gradazione". Se la nebbia è poco intensa e quasi simile a una foschia può essere chiamata scigherella ("Ghè ona scigherella incou": Oggi c'è una nebbiolina); diversamente se la nebbia è particolarmente intensa, umida e accecante diventa diventa schigherón ("Ghé un schigherón che sa ved nient": c'è un nebbione che nasconde tutto).

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